Principio-faro il cambiamento della residenza fiscale
Le agevolazioni per attrarre capitale umano in Italia hanno formato oggetto di recenti chiarimenti da parte dell’agenzia delle Entrate. Nella risposta all’interpello 33/2018 l’Agenzia si è occupata del regime dei ricercatori.
Il caso riguardava una società italiana che aveva assunto un ricercatore nell’ottobre 2015: dopo aver lavorato all’estero aveva acquisito nel 2018 la residenza fiscale in Italia. L’Agenzia, atteso che la residenza fiscale in Italia del ricercatore era stata acquisita solo nel 2018 (e non già dal primo anno utile, ovvero il 2016), ha negato il riconoscimento dei benefici fiscali per carenza di tale requisito, considerato una conditio sine qua non. La risoluzione 76/2018 si è invece occupata del regime degli “impatriati” con riferimento ad un lavoratore italiano in possesso di titolo di laurea ed iscritto all’Aire che aveva svolto una serie di esperienze lavorative all’estero anche in posizione di distacco da parte di imprese italiane. Il lavoratore era stato fiscalmente non residente dal 2005 al 2015 e aveva trasferito la propria residenza fiscale in Italia nel 2016 con l’assunzione di un ruolo apicale presso una società italiana. La risoluzione, superando i dubbi che aveva suscitato sul punto la circolare 17/2017, conferma la spettanza dell’agevolazione, conferendo rilievo alla lunga assenza del dipendente dall’Italia, alle diverse proroghe del rapporto di distacco estero e al conseguente affievolimento dei legami con il nostro Paese. Sempre sul regime dei soggetti impatriati è intervenuta la risoluzione 72/2018, con la quale l’amministrazione ha chiarito come sia del tutto irrilevante il fatto che l’attività lavorativa svolta all’estero sia stata prestata in favore di società appartenenti al medesimo gruppo di quello della società italiana dove poi è proseguito il rapporto lavorativo.