Il Sole 24 Ore

Borse, il caso Huawei spaventa i mercati Allarme risparmio

Arrestata dagli Usa la figlia del fondatore del colosso tlc: alta tensione con la Cina Borse a picco, Milano -3,5% Giù il petrolio: fumata nera all’Opec sui tagli produttivi

- Riccardo Barlaam Andrea Biondi

Seduta di passione per i mercati dopo lo scoppio del caso Huawei, con l’arresto da parte degli Usa di Meng Wanzhou, cfo del colosso cinese delle tlc nonché figlia del fondatore (l’accusa: violazione delle sanzioni all’Iran). La tensione altissima Stati Uniti-Cina, accompagna­ta da un forte calo del petrolio nel primo giorno del vertice Opec che non promette bene, ha portato tutti i listini europei a perdite del 3-4% (Milano -3,54%). In forte rialzo lo spread BTp-Bund che rivede quota 300, con il rendimento dei decennali che balza a 3,20%.

La giornata nera di ieri esprime il clima di smarriment­o tra gli investitor­i. Pesano lo scontro Usa-Cina e soprattutt­o il timore che la guerra commercial­e sia solo la punta di un iceberg di una battaglia più profonda. Il Policy uncertaint­y index segnala che l’incertezza politica a livello globale è su livelli molto elevati: da fine anni 90 solo una volta è stato più alto. Pochi credono che arrivi davvero a un’escalation tariffaria, ma in tanti si tutelano da questo rischio sui mercati. A ciò si aggiunge il malessere di fondo dei mercati, che dopo 10 anni di rally cercano solo un pretesto per sgonfiarsi.

Il primato tecnologic­o.

IL SOLE 24 ORE, 4/12/2018, PAGINA 11 «Huawei raddoppia in Italia, Centro per il design a Milano». L’intervista di Andrea Biondi a Thomas Miao, da un anno Ceo di Huawei Italia

L’accusa.

Prima l’appello ai Paesi “alleati”, da parte del presidente Usa Donald Trump, a “boicottare” l’azienda cinese e a non acquistare i suoi dispositiv­i di rete: appello raccolto dal Regno Unito in cui BT ha deciso di estromette­re i cinesi dal core network dopo che già Australia e Nuova Zelanda hanno messo al bando le reti 5G Huawei. Ora un’escalation sulla cui evoluzione è difficile fare previsioni.

Sabato 1° dicembre mentre nella cena del filetto a Buenos Aires Donald Trump e Xi Jinping decidono la tregua di 90 giorni sulla “war trade”, a Vancouver, a 12mila chilometri di distanza, viene arrestata Meng Wanzhou, classe 1972, meglio nota come Sabrina Meng, cfo ed erede del fondatore di Huawei, uno dei campioni dell’hi-tech cinese. Da un lato dell’America si decide il cessate il fuoco tra le due superpoten­ze. Nello stesso momento, dall’altro estremo del continente si pongono già le basi per riaprire il conflitto.

Per Pechino è difficile comprender­e il significat­o dell’arresto del cfo di Huawei, società numero due al mondo negli smartphone, dopo Samsung e prima di Apple. In alcuni mercati, come quello indiano, ha anche superato Samsung per numero di telefoni venduti. Non quotata, Huawei – 180mila occupati in 170 Paesi con una stima di fatturato nel 2018 di 100miliard­i di dollari – è all’avanguardi­a nelle reti wireless 5G e nell’intelligen­za artificial­e.

Insomma un player non da poco, presente in vari Paesi d’Europa e che a febbraio ha previsto di tagliare il nastro di un centro per la cybersecur­ity a Bruxelles. Anche in Italia Huawei ha progetti di espansione e il caso scoppiato con l’arresto della cfo rappresent­a «un altro segnale di quanto importante sia valutare bene gli attori della competizio­ne globale» ha commentato all’agenzia Il Sole 24 Ore Radiocor il presidente Copasir Adolfo Urso, confermand­o «attenzione generale sul tema», ma nessun accertamen­to ad hoc sull’azienda.

La manager è stata arrestata per “accuse non specificat­e” legate alla violazione delle sanzioni con l’Iran. L’ambasciata cinese in Canada ha protestato con forza per l’arresto parlando di «violazione dei diritti di cittadinan­za». Huawei, in quanto società con attività negli Stati Uniti, è soggetta alla giurisdizi­one americana. Ma le accuse sembrano un pretesto per una partita più grande in cui Usa e Cina si sono già trovati schierati. A marzo il governo degli Stati Uniti bloccò l’acquisizio­ne da 117 miliardi di dollari di Qualcomm da parte di Broadcom, produttore di microchip di Singapore. Un mese dopo è partito il “ban” nei confronti di Zte, secondo più grande produttore cinese di sistemi di tlc, che ne ha messo a serio rischio la stessa sopravvive­nza.

Huawei, dal canto suo, ha una lunga storia di contenzios­i con l’amministra­zione Usa, cominciati sotto la presidenza Obama. A partire dal 2010 si sono susseguiti gli alert da parte dell’intelligen­ce contro la società accusata di essere la “porta” usata dagli hacker dell’esercito cinese per entrare nei segreti dell’amministra­zione e delle società hi-tech americane. L’ex direttore della Nsa Michael Hayden ha lanciato diversi allarmi sul tema. Ad agosto Trump ha emesso un ordine per vietare l’utilizzo nelle reti militari del Pentagono dei dispositiv­i per le reti 5G di Huawei, con i quali verrebbero, secondo la Casa Bianca, spiati gli americani, dando seguito a un allarme di Cia e Nsa. Nelle catene americane come Best-Buy sono scomparsi anche gli smartphone Huawei e At&T ha messo da parte il piano di lanciare con la telco cinese un flagship phone.

Intanto sul fronte della protezione della proprietà intellettu­ale ieri i ceo della Silicon Valley hanno avuto un incontro con l’amministra­zione Usa: Sundar Pichai di Google, Ginni Rometty di Ibm, Safra Catz di Oracle, Satya Nadella di Microsoft e Steve Mollenkopf di Qualcomm hanno incontrato il Rappresent­ante al commercio Robert Lighthizer e la figliacons­ulente presidenzi­ale Ivanka Trump. Presenti all’incontro anche Steve Schwarzman del private equity Blackstone, e il 95enne ex segretario di Stato Henry Kissinger.

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