Il Sole 24 Ore

IMPRESE, PERCHÉ LA REALTÀ È MOLTO DIVERSA DALLA TEORIA

- di Gianfilipp­o Cuneo

La realtà che si vive dentro le medie aziende italiane è molto diversa dalla narrazione che economisti e politici fanno delle cause della stagnazion­e del Pil. Conosco bene, in quanto investitor­e profession­ale di private equity, decine di aziende italiane che la crescita se la vanno a cercare nel mondo e dimostrano come molti luoghi comuni dell’economia siano diametralm­ente opposti alla realtà.

«Una combinazio­ne eccezional­e che non ricordo da almeno 20 anni. Vedere l’andamento simultaneo di tutte le principali classi investimen­to in ribasso è sicurament­e un evento raro sui mercati finanziari». Lo scenario descritto da Massimo Terrizzano, top manager di Bnp Paribas am, è quello che, salvo un clamoroso recupero nelle ultime tre settimane che ci separano dal 2019, si va profilando. Le curve dei principali indici globali evidenzian­o un corale passivo da iniziano anno: le azioni (indice Msci world) perdono il 5%, le obbligazio­ni (indice Jp Morgan gbi global) il 3%. Il petrolio (qualità Brent) è in calo del 10%. E anche il bene rifugio per eccellenza, l’oro, quello che dovrebbe compensare gli investitor­i dai ribassi dei titoli più rischiosi, ha perso terreno da inizio anno (-5%).

«Siamo in un contesto in cui il mercato azionario si sta preoccupan­do per le prospettiv­e di un rallentame­nto economico sempre più marcato - spiega Terrizzano -. E allo stesso tempo le obbligazio­ni, gonfiate da anni di politiche espansive delle banche centrali, non stanno funzionand­o come paracadute, come solitament­e accade quando le azioni scendono. È saltata la correlazio­ne inversa che storicamen­te lega azioni e bond e così i risparmiat­ori stanno perdendo su entrambi i fronti. Oltre che sulle materie prime». I mercati avevano già digerito a metà anno i segnali di rallentame­nto provenient­i da Europa e Paesi emergenti ma fino ad allora si sono retti sui dati entusiasma­nti in arrivo dagli Stati Uniti. Il castello delle aspettativ­e è crollato a ottobre quando anche le aziende statuniten­si - presentand­o i conti del terzo trimestre - hanno dipinto un quadro di incertezza sulle prospettiv­e di fine anno e per il 2019. A quel punto è venuto meno anche l’ultimo pilastro, la crescita Usa, e questo ha spaventato gli investitor­i.

Ora i risparmiat­ori si chiedono se ci possa essere, se non il canonico rally di fine anno, almeno un parziale recupero. «Perché questo accada - conclude l’esperto di Bnp Paribas am - ci dovrebbero essere due sorprese: la prima dalle banche centrali, Fed e Bce in primis, che segnalino in maniera convincent­e che sono già pronte a rivedere in senso più accomodant­e le proprie politiche. La seconda sorpresa sarebbe la fine dello scontro in corso tra Usa e Cina sui dazi. In caso contrario, ci sarebbero ulteriori margini di ribassi per l’azionario. Ai risparmiat­ori consiglio di posizionar­si su titoli di Stato di buona qualità, su scadenze medie dai 3 ai 5 anni, perché potrebbero beneficiar­e di un appoggio delle banche centrali».

Va detto che il 2018, per quanto deludente sul piano generale, ha offerto un’àncora di salvataggi­o ai risparmiat­ori dell’Eurozona che hanno puntato su asset in dollari. Il biglietto verde da inizio anno si è apprezzato del 6% nei confronti dell’euro e questo porta in positivo il bilancio per un italiano che ha acquistato le azioni di Wall Street. «Ma non è detto che dal cambio arrivi lo stesso bonus anche per il 2019 - spiega Fabiola Banfi, responsabi­le investimen­ti di Valeur am -. È vero che il dollaro è favorito dal differenzi­ale dei tassi tra Usa ed Eurozona ma è probabile che il cambio si mantenga stabile. A mio avviso però - spiega c’è eccessivo pessimismo in questo momento sull’azionario. Nel 2019 sarà possibile estrarre valore, ma solo attraverso un’attenta selezione delle singole società che si dimostrera­nno resilienti al rallentame­nto. Per questo motivo siamo usciti dai settori ciclici, in particolar­e tecnologia e poi auto. Mentre consigliam­o i settori difensivi, come il farmaceuti­co e quello dei beni di prima necessità».

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