IMPRESE, PERCHÉ LA REALTÀ È MOLTO DIVERSA DALLA TEORIA
La realtà che si vive dentro le medie aziende italiane è molto diversa dalla narrazione che economisti e politici fanno delle cause della stagnazione del Pil. Conosco bene, in quanto investitore professionale di private equity, decine di aziende italiane che la crescita se la vanno a cercare nel mondo e dimostrano come molti luoghi comuni dell’economia siano diametralmente opposti alla realtà.
«Una combinazione eccezionale che non ricordo da almeno 20 anni. Vedere l’andamento simultaneo di tutte le principali classi investimento in ribasso è sicuramente un evento raro sui mercati finanziari». Lo scenario descritto da Massimo Terrizzano, top manager di Bnp Paribas am, è quello che, salvo un clamoroso recupero nelle ultime tre settimane che ci separano dal 2019, si va profilando. Le curve dei principali indici globali evidenziano un corale passivo da iniziano anno: le azioni (indice Msci world) perdono il 5%, le obbligazioni (indice Jp Morgan gbi global) il 3%. Il petrolio (qualità Brent) è in calo del 10%. E anche il bene rifugio per eccellenza, l’oro, quello che dovrebbe compensare gli investitori dai ribassi dei titoli più rischiosi, ha perso terreno da inizio anno (-5%).
«Siamo in un contesto in cui il mercato azionario si sta preoccupando per le prospettive di un rallentamento economico sempre più marcato - spiega Terrizzano -. E allo stesso tempo le obbligazioni, gonfiate da anni di politiche espansive delle banche centrali, non stanno funzionando come paracadute, come solitamente accade quando le azioni scendono. È saltata la correlazione inversa che storicamente lega azioni e bond e così i risparmiatori stanno perdendo su entrambi i fronti. Oltre che sulle materie prime». I mercati avevano già digerito a metà anno i segnali di rallentamento provenienti da Europa e Paesi emergenti ma fino ad allora si sono retti sui dati entusiasmanti in arrivo dagli Stati Uniti. Il castello delle aspettative è crollato a ottobre quando anche le aziende statunitensi - presentando i conti del terzo trimestre - hanno dipinto un quadro di incertezza sulle prospettive di fine anno e per il 2019. A quel punto è venuto meno anche l’ultimo pilastro, la crescita Usa, e questo ha spaventato gli investitori.
Ora i risparmiatori si chiedono se ci possa essere, se non il canonico rally di fine anno, almeno un parziale recupero. «Perché questo accada - conclude l’esperto di Bnp Paribas am - ci dovrebbero essere due sorprese: la prima dalle banche centrali, Fed e Bce in primis, che segnalino in maniera convincente che sono già pronte a rivedere in senso più accomodante le proprie politiche. La seconda sorpresa sarebbe la fine dello scontro in corso tra Usa e Cina sui dazi. In caso contrario, ci sarebbero ulteriori margini di ribassi per l’azionario. Ai risparmiatori consiglio di posizionarsi su titoli di Stato di buona qualità, su scadenze medie dai 3 ai 5 anni, perché potrebbero beneficiare di un appoggio delle banche centrali».
Va detto che il 2018, per quanto deludente sul piano generale, ha offerto un’àncora di salvataggio ai risparmiatori dell’Eurozona che hanno puntato su asset in dollari. Il biglietto verde da inizio anno si è apprezzato del 6% nei confronti dell’euro e questo porta in positivo il bilancio per un italiano che ha acquistato le azioni di Wall Street. «Ma non è detto che dal cambio arrivi lo stesso bonus anche per il 2019 - spiega Fabiola Banfi, responsabile investimenti di Valeur am -. È vero che il dollaro è favorito dal differenziale dei tassi tra Usa ed Eurozona ma è probabile che il cambio si mantenga stabile. A mio avviso però - spiega c’è eccessivo pessimismo in questo momento sull’azionario. Nel 2019 sarà possibile estrarre valore, ma solo attraverso un’attenta selezione delle singole società che si dimostreranno resilienti al rallentamento. Per questo motivo siamo usciti dai settori ciclici, in particolare tecnologia e poi auto. Mentre consigliamo i settori difensivi, come il farmaceutico e quello dei beni di prima necessità».