Un duro colpo al colosso vicino al presidente Xi
Pechino chiede a Canada e Stati Uniti il «rilascio immediato» della manager La reazione di Pechino sarà terribile davanti a quello che la nomenklatura cinese percepisce, inevitabilmente, come un violento attacco al Santa Sanctorum del potere economico e politico. Senz’ombra di dubbio la vicenda dell’arresto in Canada della numero due di Huawei è vissuta come una questione che tocca da vicino l’identità nazionale. Una mossa subdola - in estrema sintesi - destinata a innescare imprevedibili reazioni a catena.
Non a caso, il portavoce del ministero degli Esteri Geng Shuang ha riferito in conferenza stampa che «Pechino ha invitato separatamente Stati Uniti e Canada a chiarire le ragioni della detenzione e a rilasciare immediatamente la persona detenuta».
A perdere la faccia (“mianzi”, in cinese) davanti a quanto è capitato alla figlia Meng Wanzhou non è soltanto il padre, Ren Zhengfei, il fondatore di Huawei, è tutta la Cina che conta dal punto di vista politico. Non è un mistero che Ren sia tra i “salvati” della gestione Xi Jinping 2.0.
Una volta riconfermato al potere e ottenuta dal 19esimo Congresso la modifica costituzionale al limite del doppio mandato presidenziale, è partita la scrematura di tycoons a rischio, alcuni finiti in disgrazia, altri tirati giù dal podio, nonostante i meriti acquisiti in passato, altri evaporati nel nulla quasi a compensare l’eccesso di sovraesposizione mediatica. L’anticorruzione ha fatto saltare addirittura il primo capo cinese dell’Interpol, come poteva risparmiare i colossi del settore privato poco allineati con le strategie di Pechino?
A differenza del numero uno di Wanda Dalian, Wang Jianlin, oppure, ancor prima, di Zong Qinghou noto come mr. Wahaha caduto dalle stelle del Partito alle stalle di una strana aggressione in strada (a proposito, anche lui ha passato il testimone dell’impero alla figlia) Ren è una stella che non ha mai smesso di brillare nel firmamento di Pechino, è un grande vecchio che gode della piena protezione del core leader Xi. Per essere ancora più precisi, mentre il fondatore di Alibaba Jack ha annunciato il suo prepensionamento nel silenzio generale, di un ritiro di Ren non si è mai parlato. I limiti di età in Cina non sono una variabile indipendente, ma la deroga ai fatidici 60 anni viene concessa solo a chi dimostra di meritarla.
Ren, classe 1944, si è ritirato dalla scena pubblica ormai da tempo, non lo si vede più sfilare nella Hall of People dal 12esimo Congresso del Partito comunista, forse anche per allontanare i sospetti di essere troppo organico al Partito.
Piuttosto, due anni fa uscì dall’ombra rilasciando un’intervista rarissima pubblicata anche nella versione in inglese su China Daily, in cui affrontava con puntiglio il tema per lui più spinoso: l’espansione all’estero di Huawei, con tutti gli annessi e connessi, i nuovi mercati e il modo migliore per conquistarli. Una vera e propria ossessione, per lui, quella di espandere l’impero grazie anche a una rete di manager collaudati prima su piazze più “sicure”, per spedirli in seguito a esplorare terre ostili. John Xiao, nel 2005 primo manager di Huawei Italia, alla fine del mandato fu spedito a Washington,l’avventura durò poco proprio a causa dei problemi di cui oggi si possono cogliere i contorni. Anche la carriera di Meng è una candidatura alla successione preparata con l’aiuto dei diversi CFO che l’hanno istruita, nel tempo, e adesso che era pronta a spiccare il volo, l’arresto. E la candidatura ad essere la prima martire di una nuova guerra.
Per Meng Wanzhou la grancassa è già in azione, i media scatenati. Se il la è arrivato, come di consueto, dal portavoce degli Esteri, la chiamata alle armi nella dinamica “guerra Usa-Cina” viene soprattutto dai media cinesi in lingua inglese. Come il Global Times che scrive: «È chiaro che gli Stati Uniti stanno spingendo la linea di battaglia verso la nostra porta. Possiamo considerare l’arresto di Meng Wanzhou come una dichiarazione di guerra contro la Cina».