Analisi Ref: servono quattro nuovi inceneritori
Mancano infrastrutture per raggiungere gli obiettivi Ue di riciclo
I numeri? Eccoli. Non trova destinazione il 12% dei rifiuti italiani. I quali si accumulano senza indirizzarsi né sulla via del riciclo né dello smaltimento perché non ci sono abbastanza impianti. Nell’Italia leader in Europa nel riciclo (mentre gli altri Paesi prediligono bruciare oppure intasare le discariche) non ci sono abbastanza impianti di selezione, di rigenerazione, di trattamento e poi di ricupero energetico necessari per raggiungere il 65% di riciclo che chiede l’Europa e per scendere sotto al 10% di smaltimento in discarica. Lo spiega uno studio di Ref Ricerche, uno dei think tank più accreditati nelle analisi energetiche e ambientali.
Dicono alcuni: con gli obiettivi di raccolta differenziata voluti dall’Europa, gli impianti non serviranno più. Corbellerie. Ecco i numeri necessari ad assecondare gli obiettivi Ue di riciclo: nuovi impianti per il riciclaggio dei rifiuti organici per almeno 2,3 milioni di tonnellate l’anno e nuovi impianti di incenerimento per smaltire circa 1,7 milioni di tonnellate l’anno in più. In numero di impianti, almeno 53 nuovi impianti di digestione anaerobica, e almeno 4 impianti di incenerimento (1 impianto in Campania di dimensioni pari a quelle di Acerra e 1 di dimensioni equivalenti in Sicilia, 1 di media grandezza a servizio delle regioni del Centro e 1 in Sardegna).
Altri dati contenuti nella ricerca «Economia circolare: senza gli impianti vince sempre la discarica» danno un ritratto dettagliato dell’emergenza in arrivo. L’Alta Italia è in sostanziale pareggio fra rifiuti prodotti e capacità di trattarli (il divario impiantistico è di un brutto ma sostenibile -0,8%), il Centro è a -16,4% e il Mezzogiorno ha un deficit impiantistico di un drammatico -27,4% tra capacità di trattamento e rifiuti prodotti.
Se la lente d’ingrandimento si avvicina ancora di più sulla mappa dell’emergenza spazzatura si notano differenze raggelanti. Ci sono appena tre regioni con un bilancio attivo, la Lombardia (+3,1%), il Friuli Venezia Giulia (2,1%) e anche la Provincia di Bolzano (+1,4%). Il resto dell’Italia è una collezione di segni meno. Il divario tra spazzatura e impianti è del -3,1% per il Veneto e del -4,8% per la Sardegna, del -5,7% per il Trentino, di un cattivo -8,4% per il Piemonte.
I peggiori sono la Liguria (con un deficit drammaticamente al -21,3%), il Lazio (-22,6%), il Molise (-37%) e la terrificante Sicilia (-49,6%) che respinge orgogliosa il progetto A2A per un termovalorizzatore a ricupero di energia a San Filippo del Mela (Messina) e poi forza sull’uso delle discariche.
Dice lo studio di Ref Ricerche: occorre una rete di impianti di trattamento in grado di assorbire i flussi crescenti delle raccolte differenziate. Prevenzione, riuso, recupero di materia prima e di energia sono gli ingredienti di una stessa strategia: vanno attivati tutti, secondo la gerarchia dei rifiuti.
«La prospettiva di rendere circolare l’economia suggerisce l’opportunità di una strategia nazionale in materia ambientale, che punti alla prevenzione e al riuso ma che al contempo sostenga la gestione industriale, per realizzare gli impianti necessari al riciclo e all’incenerimento. Diversamente meglio ammettere che preferiamo le discariche», commenta Donato Berardi, direttore del laboratorio sui servizi pubblici locali di Ref Ricerche.
Di anno in anno, i piani regionali sui rifiuti prevedono risultati entusiasmanti, rifiuti in calo, riciclo a tutta birra, inceneritori spenti e discariche chiuse. E al contrario, rileva l’analisi del Ref, tra il 2014 e il 2016 la produzione di rifiuti urbani in Italia è aumentata del 3%, registrando un andamento allineato con il Pil e i consumi.
E così gli impianti si intasano e il servizio si ferma. La pianificazione regionale, così come è impostata sino a oggi da molte Regioni, si è rivelata uno strumento politico ed elettorale, non tecnico.