MENO EGOISMI E PIÙ CURA PER LA COSA PUBBLICA
Nel dibattito pubblico, nel confronto tra le parti, nella campagna elettorale, il linguaggio tende a degenerare in espressioni aggressive, l’argomentazione si riduce a espressioni a effetto, le proposte si esprimono con slogan riduttivi piuttosto che con elaborazioni persuasive.
L’animosità nel confronto è, in certa misura, un tratto caratteristico dell’appassionarsi per una causa che si ritiene meritevole di dedizione e di determinazione. Tuttavia credo che il consenso costruito con un’eccessiva stimolazione dell’emotività dove si ingigantiscano paure, pregiudizi, ingenuità, reazioni passionali, non giovi al bene dei cittadini e non favorisca la partecipazione democratica.
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La complicazione della normativa, delle pratiche burocratiche, delle procedure di verifica e di rendicontazione pervade molti aspetti della vita dei cittadini. Si ha talora l’impressione che l’impianto complessivo sia ispirato da una sorta di pregiudiziale sospetto sul cittadino, come fosse scontato che la gente sia naturalmente disonesta e incline a contravvenire alle regole. Ne deriva una specie di ossessione per la documentazione e i controlli: le pratiche si gonfiano in modo spropositato, i tempi per le autorizzazioni si prolungano in maniera esasperante. Ne risulta intralciata e paralizzatal’intraprendenzadellacreatività e della generosità, degli imprenditori come degli operatori sociali. Ne consegue anche una sorta di anonimato della pubblica amministrazione e dei servizi al cittadino. (...)
Pertanto diventa comprensibile la tendenza a evitare di prendersi responsabilità da parte dei singoli operatori, sempre intimoriti dalle possibili conseguenze legali dei loro atti, che si tratti di pratiche sanitarie o assistenziali o autorizzative. L’operatore si ripara dietro il controllo degli adempimenti formali e pretende estenuanti forme di garanzie. (...) Non penso sia fuori luogo richiamare qui la sapienza evangelica che ci spinge a non considerare mai l’uomo a servizio della legge e delle regole, ma, al contrario, a comprendere che una legge giusta è sempre in favore dell’uomo e della sua libertà. «Non è l’uomo per il sabato, ma il sabato per l’uomo», diceva Gesù ai suoi interlocutori. Lavoriamo dunque perché le nostre regole e procedure siano a servizio del cittadino e della buona convivenza sociale. Insomma, siamo autorizzati a pensare.
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Tra le tendenze che oggi minano il pensare mi pare che sia insidioso l’utilitarismo che riduce il valore all’utile immediato e quantificabile, che si chiami
«I CITTADINI D’EUROPA SONO PERSUASI CHE SIA DA PREFERIRE L’UNIONE ALLA DIVISIONE»
profitto, consenso, indice di gradimento. Il pensiero asservito all’utilitarismo si riduce a calcolo, quindi a valutare risorse e mezzi in vista di un risultato per lo più individuale o corporativistico piuttosto che di un fine comune e condiviso. Pertanto si rinuncia alla riflessione sulle domande di senso, relegando l’argomento nell’irrazionale e nel sentimentale, escluso per principio dalla sfera pubblica e dalla possibilità di una dimensione sociale.
È evidente che la gestione della cosa pubblica e l’organizzazione della vita sociale e dei servizi richiedono una capacità di analisi e di calcolo, ma il pensiero non può essere ridotto a questo. Vogliamo lavorare per superare il mero “pensiero calcolante” in favore di un allargamento del concetto di ragione; un pensiero realista, che abbia a cuore la ricerca continua della verità e del bene condiviso, libera da pregiudizi, aperta agli altri e alla domanda di senso.
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Credo che, quanto agli aspetti comuni di una visione di futuro, si possa convergere su quel cammino che porta a una convivenza pacifica e solidale e che intenda l’Europa come convivenza di popoli. La complessità e le problematiche che hanno segnato il concreto configurarsi della Ue richiedono una ripresa delle intenzioni originarie: i cittadini d’Europa erano e sono persuasi che siano da preferire l’unione alla divisione, la collaborazione alla concorrenza, la pace alla guerra.
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In una considerazione pensosa delle prospettivedelnostrotemposidovràevitarediridurciacercareuncaproespiatorio:talora,peresempio,ilfenomenodelle migrazionielapresenzadimigranti,rifugiati,profughiinvadonodiscorsiefattidi cronaca,finoadarel’impressionechesiano l’unico problema urgente.
Si devono nominare tra le problematiche emergenti e inevitabili: la crisi demografica che sembra condannare la popolazione italiana a un inesorabile e insostenibile invecchiamento; la povertà di prospettive per i giovani che scoraggia progetti di futuro e induce molti a trasgressioni pericolose e a penose dipendenze; le difficoltà occupazionali nell’età adulta e nell’età giovanile e le problematiche del lavoro; la solitudine il più delle volte disabitata degli anziani.
Queste problematiche sono complesse e non si può ingenuamente presumere di trovare soluzioni facili e rapide. Ma certo la complessità non può convincere a rassegnarsi alla diagnosi e all’elenco dei fattori di disagio.
Autorizzatiapensare,possiamoesplicitareipercorsicheriteniamopromettentiemettereinattoprocessiconcreti,lungimiranti,daattuarecondeterminazione.