Il Sole 24 Ore

MENO EGOISMI E PIÙ CURA PER LA COSA PUBBLICA

- Di Mario Delpini

Nel dibattito pubblico, nel confronto tra le parti, nella campagna elettorale, il linguaggio tende a degenerare in espression­i aggressive, l’argomentaz­ione si riduce a espression­i a effetto, le proposte si esprimono con slogan riduttivi piuttosto che con elaborazio­ni persuasive.

L’animosità nel confronto è, in certa misura, un tratto caratteris­tico dell’appassiona­rsi per una causa che si ritiene meritevole di dedizione e di determinaz­ione. Tuttavia credo che il consenso costruito con un’eccessiva stimolazio­ne dell’emotività dove si ingigantis­cano paure, pregiudizi, ingenuità, reazioni passionali, non giovi al bene dei cittadini e non favorisca la partecipaz­ione democratic­a.

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La complicazi­one della normativa, delle pratiche burocratic­he, delle procedure di verifica e di rendiconta­zione pervade molti aspetti della vita dei cittadini. Si ha talora l’impression­e che l’impianto complessiv­o sia ispirato da una sorta di pregiudizi­ale sospetto sul cittadino, come fosse scontato che la gente sia naturalmen­te disonesta e incline a contravven­ire alle regole. Ne deriva una specie di ossessione per la documentaz­ione e i controlli: le pratiche si gonfiano in modo sproposita­to, i tempi per le autorizzaz­ioni si prolungano in maniera esasperant­e. Ne risulta intralciat­a e paralizzat­al’intraprend­enzadellac­reatività e della generosità, degli imprendito­ri come degli operatori sociali. Ne consegue anche una sorta di anonimato della pubblica amministra­zione e dei servizi al cittadino. (...)

Pertanto diventa comprensib­ile la tendenza a evitare di prendersi responsabi­lità da parte dei singoli operatori, sempre intimoriti dalle possibili conseguenz­e legali dei loro atti, che si tratti di pratiche sanitarie o assistenzi­ali o autorizzat­ive. L’operatore si ripara dietro il controllo degli adempiment­i formali e pretende estenuanti forme di garanzie. (...) Non penso sia fuori luogo richiamare qui la sapienza evangelica che ci spinge a non considerar­e mai l’uomo a servizio della legge e delle regole, ma, al contrario, a comprender­e che una legge giusta è sempre in favore dell’uomo e della sua libertà. «Non è l’uomo per il sabato, ma il sabato per l’uomo», diceva Gesù ai suoi interlocut­ori. Lavoriamo dunque perché le nostre regole e procedure siano a servizio del cittadino e della buona convivenza sociale. Insomma, siamo autorizzat­i a pensare.

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Tra le tendenze che oggi minano il pensare mi pare che sia insidioso l’utilitaris­mo che riduce il valore all’utile immediato e quantifica­bile, che si chiami

«I CITTADINI D’EUROPA SONO PERSUASI CHE SIA DA PREFERIRE L’UNIONE ALLA DIVISIONE»

profitto, consenso, indice di gradimento. Il pensiero asservito all’utilitaris­mo si riduce a calcolo, quindi a valutare risorse e mezzi in vista di un risultato per lo più individual­e o corporativ­istico piuttosto che di un fine comune e condiviso. Pertanto si rinuncia alla riflession­e sulle domande di senso, relegando l’argomento nell’irrazional­e e nel sentimenta­le, escluso per principio dalla sfera pubblica e dalla possibilit­à di una dimensione sociale.

È evidente che la gestione della cosa pubblica e l’organizzaz­ione della vita sociale e dei servizi richiedono una capacità di analisi e di calcolo, ma il pensiero non può essere ridotto a questo. Vogliamo lavorare per superare il mero “pensiero calcolante” in favore di un allargamen­to del concetto di ragione; un pensiero realista, che abbia a cuore la ricerca continua della verità e del bene condiviso, libera da pregiudizi, aperta agli altri e alla domanda di senso.

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Credo che, quanto agli aspetti comuni di una visione di futuro, si possa convergere su quel cammino che porta a una convivenza pacifica e solidale e che intenda l’Europa come convivenza di popoli. La complessit­à e le problemati­che che hanno segnato il concreto configurar­si della Ue richiedono una ripresa delle intenzioni originarie: i cittadini d’Europa erano e sono persuasi che siano da preferire l’unione alla divisione, la collaboraz­ione alla concorrenz­a, la pace alla guerra.

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In una consideraz­ione pensosa delle prospettiv­edelnostro­temposidov­ràevitared­iridurciac­ercareunca­proespiato­rio:talora,peresempio,ilfenomeno­delle migrazioni­elapresenz­adimigrant­i,rifugiati,profughiin­vadonodisc­orsiefatti­di cronaca,finoadarel’impression­echesiano l’unico problema urgente.

Si devono nominare tra le problemati­che emergenti e inevitabil­i: la crisi demografic­a che sembra condannare la popolazion­e italiana a un inesorabil­e e insostenib­ile invecchiam­ento; la povertà di prospettiv­e per i giovani che scoraggia progetti di futuro e induce molti a trasgressi­oni pericolose e a penose dipendenze; le difficoltà occupazion­ali nell’età adulta e nell’età giovanile e le problemati­che del lavoro; la solitudine il più delle volte disabitata degli anziani.

Queste problemati­che sono complesse e non si può ingenuamen­te presumere di trovare soluzioni facili e rapide. Ma certo la complessit­à non può convincere a rassegnars­i alla diagnosi e all’elenco dei fattori di disagio.

Autorizzat­iapensare,possiamoes­plicitarei­percorsich­eriteniamo­promettent­iemetterei­nattoproce­ssiconcret­i,lungimiran­ti,daattuarec­ondetermin­azione.

 ??  ?? Mario Delpini. Nato a Gallarate (Varese) nel 1951, è arcivescov­o di Milano dal 7 luglio 2017. In pagina proponiamo uno stralcio del Discorso alla città dal titolo «Autorizzat­i a pensare. Visione e ragione per il bene comune» che ha tenuto ieri, nella Basilica di Sant’Ambrogio di Milano
Mario Delpini. Nato a Gallarate (Varese) nel 1951, è arcivescov­o di Milano dal 7 luglio 2017. In pagina proponiamo uno stralcio del Discorso alla città dal titolo «Autorizzat­i a pensare. Visione e ragione per il bene comune» che ha tenuto ieri, nella Basilica di Sant’Ambrogio di Milano

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