Petrolio, l’Opec aspetta la Russia per trovare un accordo sui tagli
Fumata nera tra i Paesi del cartello. Oggi Mosca potrebbe sbloccare l’impasse Il Brent cade di oltre il 3% Gli Stati Uniti diventano esportatori netti di greggio
Mentre l’Opec in crisi non riesce a trovare un accordo sui tagli di produzione, gli Stati Uniti dello shale oil brindano a un nuovo record: per la prima volta nella storia Washington è riuscita ad esportare più petrolio e prodotti raffinati di quanti ne abbia importati.
La cruda realtà dei numeri è particolarmente amara a Vienna, dove l’Organizzazione degli esportatori di greggio è stata costretta a rinviare la conferenza stampa che avrebbe dovuto rendere conto dei risultati del vertice. L’evento è davvero raro: non succedeva da decenni, anche se i più anziani tra i delegati ricordano ancora la maratona negoziale del 1986, quando i ministri dell’Opec rimasero riuniti per 17 giorni consecutivi, mentre le quotazioni del barile crollavano sotto il peso di un forte eccesso di offerta.
Probabilmente non siamo a questi livelli. Ma anche stavolta il petrolio sta andando a picco, per effetto di un surplus creato soprattutto, ma non solo, dagli Usa: ieri, in una giornata nera per tutti i mercati finanziari, il Brent ha perso oltre il 3% andando sotto i 60 dollari al barile ed è in ribasso di circa il 30% dai massimi di ottobre. E anche stavolta l’Opec è in gravi difficoltà.
Ufficialmente ora l’obiettivo è comunicare una decisione oggi, insieme alla Russia e agli altri alleati non Opec. Ma ci sono brutti segnali. Il ministro saudita Khalid Al Falih si è detto «non fiducioso» di trovare un accordo, mentre si allontanava dal quartier generale dell’Opec, presumibilmente per continuare a trattare nelle più confortevoli stanze di un albergo.
Il rappresentante della Libia – a cui era stato chiesto di riuniciare all’esenzione dai tagli produttivi – aveva lasciato l’edificio quasi due ore prima, quando tutti erano ancora in riunione, apparentemente per rientrare in patria. E anche il ministro russo Alexandr Novak è tornato a Mosca, si dice per consultarsi con il presidente Vladimir Putin, anche se oggi dovrebbe essere di rientro nella capitale austriaca.
Tra gli scogli su cui si è arenata la discussione c’è anche quello del contributo ai tagli da parte della Russia. «Ce l’ha promesso», aveva affermato in mattinata Al Falih, riconoscendo tuttavia che bisognava ancora chiarire «di quanto e quando». Per motivi tecnici, ha ricordato Novak, le compagnie russe non possono comunque ridurre l’output immediatamente: «L’inverno è sempre un periodo climatico speciale per noi».
L’Opec comunque ha anche molti altri problemi, che lo stesso Al Falih – forse per forzare la mano nelle trattative – aveva messo in luce all’avvio del vertice. Il saudita aveva detto di ritenere «adeguato» un taglio di un milione di barili al giorno (quindi molto meno di quanto il mercato vorrebbe) e di pretendere che fosse «equamente diviso fra tutti»: Riad dunque non solo vuole la partecipazione della Libia, ma anche della Nigeria, altro Paese finora esentato, e forse persino dell’Iran.
Convincere Teheran, vittima delle sanzioni Usa, sembra inoltre un’impresa impossibile: «Gli altri Paesi – ha avvertito il ministro Bijan Zanganeh – dovrebbero capire la nostra situazione e ci aspettiamo che collaborino. Ci sembra il minimo. Se non vogliono non accetteremo nient’altro». Dopo le pressioni politiche sempre più forti da parte di Donald Trump, che cerca in ogni modo di influenzare le decisioni dell’Opec, le statistiche dagli Usa sono state la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Washington non solo produce 11,7 milioni di barili al giorno di greggio – più di chiunque altro almondo – ma è arrivata ad esportarne addirittura 3,2 mbg la settimana scorsa secondo l’Eia, più di quanto riescano a fare il Kuwait o gli Emirati arabi uniti. Se si contano anche benzina e altri carburanti, si arriva a un export di 7,2 mg, a fronte di importazioni per appena 4 mbg. Un record storico.