La battaglia di Unilever contro i «fake» influencer
Trasparenza. Nel colloquio con Hanneke Faber, presidente Unilever Europa, il concetto che ricorre più e più volte è quello della trasparenza, a tutto vantaggio della customer experience, della necessità di migliorare la capacità delle marche di misurare gli impatti delle loro campagne di comunicazione, ma anche della necessità di gestire tutto il mondo del digitale e del marketing attraverso i social. Con particolare attenzione all’universo magmatico degli influencer.
Tutto questo è ovviamente essenziale per un colosso attivo nel settore dei beni di consumo, che vanta un portafoglio di circa 400 brand in oltre 190 Paesi. Nel 2017 la multinazionale anglo-olandese Unilever – che da gennaio avrà un nuovo Ceo, vale a dire Alan Jope, attualmente responsabile del settore bellezza e cura della persona, che prenderà il posto di Paul Polman – ha messo agli atti un anno con profitti in crescita, grazie alla crescita nei mercati emergenti e alle sue 11 acquisizioni. L'utile netto è così aumentato del 16,9% a 6,5 miliardi di euro e per quanto riguarda il fatturato, è stato realizzato un incremento dell’1,9% a 53,7 miliardi.
«Noi siamo uno dei principali investitori pubblicitari a livello mondiale. E per questo – spiega Hanneke Faber al Sole 24 Ore – sentiamo di avere una grande responsabilità alla quale, peraltro non intendiamo sottrarci».
Di certo non è passata inosservata la presa di posizione di Unilever, con investimento annuale di 7 miliardi di euro all’anno, secondo solo a P&G e con budget che per un terzo è riservato ai media digitali. A inizio anno la multinazionale anglo-olandese ha fatto molto rumore, minacciando di ritirare la propria pubblicità da piattaforme online come Facebook e Google in assenza di misure atte a garantire le marche e le loro campagne dall’accostamento con contenuti inappropriati.
Era il periodo dello scandalo Facebook-Cambridge Analytica, con tutto il corollario problematico emerso su fake news e necessità di intervenire sul versante dei social, presi di mira da seminatori d’odio e contenuti a sfondo razzista.
«Con Google e Facebook ci siamo visti anche la scorsa settimana, in Silicon Valley. Già il fatto di sedersi a un tavolo è importante e significativo per noi. E indicativo di un lavoro che si sta facendo e della volontà di arrivare a un obiettivo comune». Parla di «ottimo rapporto» con le piattaforme web la presidente di Unilever Europe, nella consapevolezza che il contesto in cui ci si muove è sempre più complesso, con «il digitale che sta trasformando tutto quello che facciamo. Negli ultimi 10 anni il marketing è cambiato radicalmente: ora incrocia il mondo dei social, è tutto più veloce. Fra cinque anni non riesco neanche a immaginare quali saranno le prossime sfide».
In questo quadro, Hanneke Faber evidenzia tuttavia quelli che rappresenta come punti fermi «della nostra strategia di marketing riguardante gli influencer». Aspetto di primaria importanza questo secondo il presidente Unilever, che ha portato la multinazionale ad alcune conclusione strategiche: «Noi non lavoriamo con influencer che acquistano follower. Inoltre, i nostri marchi non compreranno mai un follower. E in più, daremo priorità ai partner che aumentano la trasparenza».
Tutto questo porterà o sta già portando a diminuire gli investimenti sul digital? «Non direi questo. Piuttosto – replica Hanneke Faber – si tratta di investimenti differenti». Tutti però su «responsible platforms» per quanto concerne il digitale. E il tutto – il discorso ritorna al punto di partenza – puntando sulla trasparenza, concetto che è fra i principali a muovere anche le scelte di acquisizione del colosso. Anche in Italia, dove alla guida c’è Fulvio Guarneri, presidente di Unilever Italia. «Il made in Italy – dice Guarneri – è una leva importante. Muove molti acquisti e business anche fuori dall’Italia. E per questo Unilever ha posto e pone grande attenzione al nostro Paese».