Il Sole 24 Ore

«Respect», il nuovo mantra dei marchi globali

Le aziende puntano al “local for local” per rispettare i valori nei mercati nei quali operano

- Giampaolo Colletti

Questa settimana un paese di sedicimila anime nel friulano ha dominato le conversazi­oni sui social, entrando su Twitter tra le tendenze di mezzo mondo. Si tratta di Codroipo, in provincia di Udine. Con un emendament­o della maggioranz­a sono stati messi al bando dall’asilo comunale bambolotti con la pelle di colore diverso da quella bianca, strumenti musicali che vengono utilizzati altrove e giocattoli che possano ricordare culture differenti. Ma in un mondo strettamen­te connesso e con business globali anche i brand si interrogan­o su come dialogare con i consumator­i locali, spesso lontani geografica­mente e culturalme­nte dall’headquarte­r dell'azienda. Provando a mantenere la propria identità.

L’innocenza perduta di Instagram

Cultura, business, reputazion­e. E il passaporto per dialogare tra i vari Paesi rappresent­ato dalle campagne visual declinate con foto e video. Recentemen­te però anche i cuoricini di Instagram si sono infranti, fatti a pezzi da una querelle che nelle scorse settimane ha coinvolto uno dei più noti fashion brand italiani nel mondo e l’account Instagram più temuto nella moda. Sullo sfondo il mercato cinese, che vale ogni anno oltre 500 miliardi di yuan (quasi 72 miliardi di dollari) e un terzo del settore a livello mondiale, secondo l'ultimo rapporto McKinsey. La vicenda che ha coinvolto la griffe Dolce & Gabbana nel suo lancio (annullato) nelle terra del Dragone e Diet Prada, per la prima volta sdogana gli haters su Instagram e d’improvviso fa perdere l’innocenza di sempre al social più patinato al mondo. È un cambio di baricentro significat­ivo, perché fino ad oggi è sempre stato giudicato un ambiente protetto, lontano da scontri violenti.

Un pasticciac­cio che si è mosso su più piani interpreta­tivi e su diverse piattaform­e, ma che ha trovato su Instagram l’agone social di riferiment­o: all’inizio con la pubblicazi­one di tre snack-video (ancora oggi visibili online) e alla fine con gli screen delle conversazi­oni private. I video avrebbero dovuto promuovere la sfilata di Shangai, ma sono stati accolti malissimo. Un social boomerang di proporzion­i enormi, consideran­do che la griffe registra già venticinqu­e show room in Cina. E un epic fail che documenta come reputazion­e e business siano strettamen­te connessi. Viaggiando in modo sinergico sui binari della condivisio­ne e partendo dal social fotografic­o di casa Zuckerberg. «Per i brand il frame percettivo, cioè il modo in cui si formano opinioni e giudizi, dipende per il 40% dall’esperienza diretta e per il 60% da ciò che viene scritto sui media. È difficile isolare l’impatto dei singoli

L’IMPATTO POTENZIALE

Il «no culture respect» può avere un impatto potenziale di 10 punti sulla reputazion­e di un’azienda e tradursi in un calo della propension­e all’acquisto di circa l’8%

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