Medici italiani in Regno Unito Chi paga è il contribuente
Formare un medico italiano costa ai tax payers 150mila euro, euro più euro meno. Al giovane medico servono almeno sei anni di studio e di sforzi consistenti, oltre a un indispensabile supporto dalla famiglia. Il sistema universitario investe le competenze di centinaia di docenti, e il servizio sanitario nazionale le strutture cliniche e il personale di ospedali e policlinici per i periodi di tirocinio. Uno sforzo collettivo di ampia portata.
La notizia che la Gran Bretagna intende reclutare 150 medici italiani per immetterli, con un contratto iniziale di tre anni e un consistente contributo al trasferimento, ci deve fare riflettere. Approfondiamo un momento. In realtà la notizia non rappresenta una vera novità. Fa un po’ più di clamore in epoca Brexit, ma non è una sorpresa. La stessa Commissione Ue, non più di un anno fa, ci informava del fatto che tra il 2005 e il 2015 sono stati oltre 10mila i medici espatriati da paesi europei, e di questi il 52% sono italiani. La meta preferita è appunto il Regno Unito, seguito dalla Svizzera. Esistono gruppi, forum e siti ad hoc che si occupano del fenomeno dei “dottori in fuga” e forniscono informazioni e supporto. Diciamo che la novità è aver portato la selezione in Italia, a Milano, come raccontato dal TG1.
Un numero consistente e crescente di medici italiani viene così annualmente “regalato” ai paesi europei, primo tra tutti il Regno Unito. Non è una dinamica molto diversa dal “brain drain” e le ragioni in fondo sono le stesse. In parte, il fenomeno risponde a semplici leggi di mercato: i medici italiani sono apprezzati, e in altri paesi sono richiesti e pagati meglio. Davanti alla prospettiva di anni di incertezza e di precariato l’offerta di poter esercitare la professione medica in condizioni migliori è un richiamo fortissimo. Il problema della scarsa competitività dei salari tuttavia è aggravato – e considerevolmente – dalla incapacità del nostro paese di organizzare i percorsi di specializzazione medica. Il numero di posti di specialità è largamente inferiore alle necessità, e a nulla sono valse fin qui le proteste e le manifestazioni dei neomedici, che ogni anno reclamano maggiori possibilità di accesso.
Da un lato, formiamo medici e li formiamo bene, così bene che altri paesi se li contendono, e dall’altro, li