Il Sole 24 Ore

Spread in calo ma la febbre sul rischio Italia resta alta

I cds registrano il forte calo del rischio di un’uscita dell’Italia dall’euro

- Morya Longo

Rispetto ai 328 punti base che lo spread tra BTp e Bund ha toccato il 20 novembre, i 257 attuali rappresent­ano un cambio di livello non indifferen­te. È come passare da 39 a 38 di febbre. L’accordo tra Roma e Bruxelles sulla manovra ha senza dubbio cambiato l’umore dei mercati. Eppure 257 punti base restano tanti. Troppi. La febbre a 38 non va bene. Lo spread tra i titoli decennali dell’Italia e quelli della Germania resta circa il doppio rispetto ai 130 punti base di metà maggio. E soprattutt­o l’Italia per ottenere credito di durata decennale sui mercati è tutt’ora costretta a pagare 1,45 punti percentual­i di interessi in più rispetto alla Spagna e 1,16 rispetto al Portogallo.

Pur con una “febbre” in calo, sui mercati dei titoli di Stato l’Italia resta dunque la malata d’Europa. Questo accade perché a fianco di alcune forze che ora spingono lo spread al ribasso (prima fra tutte la riduzione del rischio Italexit), ce ne sono altrettant­e che lo tengono invece in alto (a partire dalla scarsa fiducia che il mercato nutre per la Manovra). Analizzand­o queste forze, l’opinione comune degli investitor­i è che lo spread possa scendere ancora un po’, pur con gradualità, ma non tanto. I 130 punti base preGoverno resteranno probabilme­nte una chimera. Ecco i motivi.

Perché lo spread può scendere

La preoccupaz­ione principale che fino a poche settimane fa teneva lo spread tra i BTp e i Bund così elevato era la paura di Italexit. Gli investitor­i temevano che, nonostante le smentite del Governo, l’escalation dei toni e dello scontro tra Roma e Bruxelles avrebbe prima o poi potuto portare all’estrema conseguenz­a dell’uscita dell’Italia dall’euro. E questo faceva paura: chi presta euro a un Paese comprando i suoi titoli di Stato vuole infatti vedersi restituire euro alla scadenza. Non lire svalutate. Che questa fosse una preoccupaz­ione del mercato lo dimostrano i Cds, cioè le “polizze” che gli investitor­i usano per assicurars­i contro il rischio di default dell’Italia oppure contro il rischio di Italexit. Ebbene: a maggio il prezzo di queste polizze incorporav­a - secondo i calcoli di Calipso - una probabilit­à che l’Italia uscisse dall’euro pari al 25%. E lo scorso 6 dicembre risultava ancora al 21%.

Ma l’intesa Roma-Bruxelles l’ha ridotta: ora la probabilit­à implicita nei prezzi dei Cds è al 18%. E può calare ancora. Questo potrebbe indurre gli investitor­i internazio­nali, che da maggio hanno ridotto l’esposizion­e sui titoli di Stato italiani di 71 miliardi di euro (dati di Bankitalia), a tornare piano piano sui loro passi. Anche perché i BTp offrono rendimenti ancora appetibili. E gli investitor­i esteri sono molto “scarichi” di rischio-Italia: se lo scorso dicembre detenevano il 29,9% del debito pubblico italiano (dato Bankitalia), ora sono scesi al 27,7%. Dunque hanno spazio per comprare. Volendo.

Perché lo spread non scende

Purtroppo i motivi di ottimismo finiscono qui. Tante altre “forze” remano infatti contro i nostri titoli di Stato. La prima è questa: sul mercato c’è molto scetticism­o sulla versione attuale della Manovra. «La pace di Pirro» titola sarcastica­mente un report di Barclays sull’accordo Roma-Bruxelles. «Si tratta di un pigro compromess­o che alla fine non funzionerà», scrivono gli economisti di Commerzban­k. A preoccupar­e è la possibilit­à che questa manovra possa davvero centrare l’obiettivo di deficit al 2,04%: Commerzban­k stima che si attesterà oltre il 2,4% e Barclays al 2,8%. Insomma: il 2,04% appare ottimistic­o.

Anche perché tutte le istituzion­i mondiali stanno abbassando le previsioni sulla crescita dell’Italia: se la stima media (consensus Bloomberg) a settembre era di una crescita 2019 pari all’1,1%, a novembre era scesa a 0,9% e a ora è a 0,7%. Ma i timori maggiori sono sul 2020, anno sul quale pesa un potenziale aumento dell’Iva il cui disinnesco costa 23 miliardi. Nell’anno in cui gli economisti prevedono una potenziale recessione globale, l’Italia si troverà insomma costretta a varare una manovra pesante solo per evitare l’aumento dell’Iva.

Contro i nostri BTp gioca poi il calendario. Nel 2019 le emissioni di titoli di Stato saranno infatti pesanti. Secondo quanto comunicato ieri dal Tesoro, le emissioni di titoli di Stato a medio-lungo termine (escludi i BoT dunque) saranno pari a 251 miliardi: 201 per rimborsare i BTp in scadenza (17 miliardi in più del 2018) e 50 per soddisfare il fabbisogno statale. Questo peserà sullo spread. Anche perché sui mercati saranno sempre meno presenti sia la Bce (che finisce il programma di acquisti) sia le banche italiane. Basta leggere le ultime trimestral­i per capire che quasi tutte hanno l’obiettivo di ridurre l’esposizion­e sui BTp.

Nel 2019 le emissioni di titoli di Stato a mediolungo termine saranno pari a 251 miliardi

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