CARBONE PER LA FED, DOLCI ALLA BCE
Cosa ci sarà nella calza della Befana per le banche centrali? Carbone per la Fed, Dolci alla Bce. Soprattutto in un momento in cui la nebbia macroeconomica si infittisce, il primo dovere di una banca centrale è ridurre l’incertezza. La Bce ci prova, la Fed rema in direzione opposta. Confondendo i mercati e danneggiando l’economia. Non solo quella americana.
L’ultima conferenza stampa dell’anno tenuta dal presidente della banca centrale americana conferma che il giudizio sul suo operato nel 2018 non può che essere negativo.
Non è rilevante la notizia del rialzo di venticinque punti base nei tassi di interesse di riferimento – che è stata male accolta dai mercati finanziari - quanto l’aumentata opacità che sembra oramai contraddistinguere la strategia della Fed. Da cosa dipende la pagella di una banca centrale? La fase macroeconomica attuale – che proseguirà nel 2019 – è caratterizzata da due fattori incrociati: il rallentamento della crescita economica e l’aumento della incertezza. In particolare in un simile scenario, il criterio principe con cui valutare l’efficacia della politica monetaria è quello del contributo alla stabilità delle aspettative, che a sua volta migliora le scelte dei consumatori, delle imprese, dei mercati. L’efficacia della politica monetaria dipende a sua volta da quanto è credibile una banca centrale.
Ma per valutare la credibilità di una banca centrale il termometro cruciale è la sua trasparenza: quante informazioni abbiamo sulla cosiddetta funzione obiettivo della Fed? Poche, anche facendo un confronto con la banca centrale europea (Bce). Entrambe le banche centrali potrebbero fare di più, ma l’opacità della Fed è maggiore, e al tempo stesso crescente.
La trasparenza si giudica analizzando gli obiettivi e gli strumenti della politica monetaria, nonché i legami tra i primi e i secondi. Riguardo agli obiettivi, la Bce ha un solo obiettivo – la stabilità monetaria – che per giunta è oramai stabile nel tempo: fu nel novembre 2003 che la Bce annunzio l’obiettivo di una inflazione minore del 2%, ma vicina; l’aggiunta del «vicina» cambiava una prima definizione del 1998, per evitare – e fu una scelta lungimirante – che venisse sottovalutato qualsiasi rischio deflazionistico. La Fed invece - e qui Powell non ha alcuna colpa - è intrinsecamente più ambigua: ha un mandato con un obiettivo doppio occupazione e inflazione – che rende le scelte opache. Ma Powell ha una colpa specifica: continuare – nella scia dei suoi predecessori – a non specificare quale è il target occupazionale, anche dopo – benché solo nel 2012 – la Fed si è almeno dotata del target inflazionistico del due percento.
Note ancor più dolenti arrivano dall’esame degli strumenti. Partendo dai tassi di interesse sulle riserve bancarie, entrambe le banche centrali stanno vivendo una stagione anomala, ancorché su fronti opposti: la Fed continua a pagare rendimenti positivi, mentre la Bce applica tassi negativi. Entrambe sono distorsioni giustificabili solo in fasi eccezionali: pagar o far pagare un rendimento sulla riserve bancarie distacca la politica monetaria dalla moneta – almeno per come la intendiamo finora, visto che per noi cittadini la moneta non rende nulla – accentuando o perpetuando delle differenze tra settore reale, settore bancario e settore finanziario non regolato che fa navigare le economie in acque ignote, quindi rischiose. Il punto è che la Bce sembra conscia della anomalia, mentre la Fed in merito non pare avere nessuna intenzione di tornare alla normalità ante 2008, quando i depositi delle banche presso la Fed non erano remunerati.
I tassi di interesse sui crediti delle banche centrali vedono la Bce indicare la rotta per i prossimi mesi, con una politica di annunzio vincolante per l’istituzione; la Fed si limita a offrire le anonime previsioni dei suoi singoli membri. In più la Fed sembra intenzionata a ridurre ulteriormente il ruolo delle politiche di annunzio. Questo non può che aumentare il carico di carbone.
Entrambe le banche centrali non danno indicazioni su due variabili chiave: il tasso di interesse reale – quale è la remunerazione attesa nel medio termine del capitale – e di conseguenza il tasso neutrale – che segnala quando la politica monetaria non è né restrittiva né espansiva. Infine ci sono le operazioni delle banche centrali nei mercati finanziari. Sono oramai dieci anni che entrambe le banche centrali hanno superato quel limite a tali operazioni che poteva definire la normalità: utilizzare solo titoli di stato a breve termine. I bilanci della Fed e della Bce hanno assunto una dimensione e un profilo di rischio straordinario, di cui però l’impatto espansivo – anche in assenza di nuovi acquisti, come accadrà per la Bce a partire da gennaio – non è immediatamente percepibile; quindi aumenta l’opacità. Le due banche centrali dovrebbero trasformare l’eccesso di creazione monetaria – rispetto a quello corrispondente ai titoli a breve termine – in “tassi ombra”, che mostrerebbero che le due politiche monetarie sono ancora espansive. Insomma, la Bce fa, ma può fare di più, la Fed è molto carente: per quest’anno dolci alla prima, carbone alle seconda.