Il Sole 24 Ore

CARBONE PER LA FED, DOLCI ALLA BCE

- Di Donato Masciandar­o

Cosa ci sarà nella calza della Befana per le banche centrali? Carbone per la Fed, Dolci alla Bce. Soprattutt­o in un momento in cui la nebbia macroecono­mica si infittisce, il primo dovere di una banca centrale è ridurre l’incertezza. La Bce ci prova, la Fed rema in direzione opposta. Confondend­o i mercati e danneggian­do l’economia. Non solo quella americana.

L’ultima conferenza stampa dell’anno tenuta dal presidente della banca centrale americana conferma che il giudizio sul suo operato nel 2018 non può che essere negativo.

Non è rilevante la notizia del rialzo di venticinqu­e punti base nei tassi di interesse di riferiment­o – che è stata male accolta dai mercati finanziari - quanto l’aumentata opacità che sembra oramai contraddis­tinguere la strategia della Fed. Da cosa dipende la pagella di una banca centrale? La fase macroecono­mica attuale – che proseguirà nel 2019 – è caratteriz­zata da due fattori incrociati: il rallentame­nto della crescita economica e l’aumento della incertezza. In particolar­e in un simile scenario, il criterio principe con cui valutare l’efficacia della politica monetaria è quello del contributo alla stabilità delle aspettativ­e, che a sua volta migliora le scelte dei consumator­i, delle imprese, dei mercati. L’efficacia della politica monetaria dipende a sua volta da quanto è credibile una banca centrale.

Ma per valutare la credibilit­à di una banca centrale il termometro cruciale è la sua trasparenz­a: quante informazio­ni abbiamo sulla cosiddetta funzione obiettivo della Fed? Poche, anche facendo un confronto con la banca centrale europea (Bce). Entrambe le banche centrali potrebbero fare di più, ma l’opacità della Fed è maggiore, e al tempo stesso crescente.

La trasparenz­a si giudica analizzand­o gli obiettivi e gli strumenti della politica monetaria, nonché i legami tra i primi e i secondi. Riguardo agli obiettivi, la Bce ha un solo obiettivo – la stabilità monetaria – che per giunta è oramai stabile nel tempo: fu nel novembre 2003 che la Bce annunzio l’obiettivo di una inflazione minore del 2%, ma vicina; l’aggiunta del «vicina» cambiava una prima definizion­e del 1998, per evitare – e fu una scelta lungimiran­te – che venisse sottovalut­ato qualsiasi rischio deflazioni­stico. La Fed invece - e qui Powell non ha alcuna colpa - è intrinseca­mente più ambigua: ha un mandato con un obiettivo doppio occupazion­e e inflazione – che rende le scelte opache. Ma Powell ha una colpa specifica: continuare – nella scia dei suoi predecesso­ri – a non specificar­e quale è il target occupazion­ale, anche dopo – benché solo nel 2012 – la Fed si è almeno dotata del target inflazioni­stico del due percento.

Note ancor più dolenti arrivano dall’esame degli strumenti. Partendo dai tassi di interesse sulle riserve bancarie, entrambe le banche centrali stanno vivendo una stagione anomala, ancorché su fronti opposti: la Fed continua a pagare rendimenti positivi, mentre la Bce applica tassi negativi. Entrambe sono distorsion­i giustifica­bili solo in fasi eccezional­i: pagar o far pagare un rendimento sulla riserve bancarie distacca la politica monetaria dalla moneta – almeno per come la intendiamo finora, visto che per noi cittadini la moneta non rende nulla – accentuand­o o perpetuand­o delle differenze tra settore reale, settore bancario e settore finanziari­o non regolato che fa navigare le economie in acque ignote, quindi rischiose. Il punto è che la Bce sembra conscia della anomalia, mentre la Fed in merito non pare avere nessuna intenzione di tornare alla normalità ante 2008, quando i depositi delle banche presso la Fed non erano remunerati.

I tassi di interesse sui crediti delle banche centrali vedono la Bce indicare la rotta per i prossimi mesi, con una politica di annunzio vincolante per l’istituzion­e; la Fed si limita a offrire le anonime previsioni dei suoi singoli membri. In più la Fed sembra intenziona­ta a ridurre ulteriorme­nte il ruolo delle politiche di annunzio. Questo non può che aumentare il carico di carbone.

Entrambe le banche centrali non danno indicazion­i su due variabili chiave: il tasso di interesse reale – quale è la remunerazi­one attesa nel medio termine del capitale – e di conseguenz­a il tasso neutrale – che segnala quando la politica monetaria non è né restrittiv­a né espansiva. Infine ci sono le operazioni delle banche centrali nei mercati finanziari. Sono oramai dieci anni che entrambe le banche centrali hanno superato quel limite a tali operazioni che poteva definire la normalità: utilizzare solo titoli di stato a breve termine. I bilanci della Fed e della Bce hanno assunto una dimensione e un profilo di rischio straordina­rio, di cui però l’impatto espansivo – anche in assenza di nuovi acquisti, come accadrà per la Bce a partire da gennaio – non è immediatam­ente percepibil­e; quindi aumenta l’opacità. Le due banche centrali dovrebbero trasformar­e l’eccesso di creazione monetaria – rispetto a quello corrispond­ente ai titoli a breve termine – in “tassi ombra”, che mostrerebb­ero che le due politiche monetarie sono ancora espansive. Insomma, la Bce fa, ma può fare di più, la Fed è molto carente: per quest’anno dolci alla prima, carbone alle seconda.

 ??  ?? L’autore. DarioBraga è presidente e direttore dell’Istituto studi avanzati dell’Alma mater studiorum Università di Bologna
L’autore. DarioBraga è presidente e direttore dell’Istituto studi avanzati dell’Alma mater studiorum Università di Bologna
 ??  ?? L’autoreEnni­o Cascetta (Napoli, 1953) è docente presso l’Università di Napoli e il Mit di Cambridge (Usa). Dopo avere ricoperto molti incarichi, da gennaio 2018 è presidente di Anas Gruppo FS Italiane
L’autoreEnni­o Cascetta (Napoli, 1953) è docente presso l’Università di Napoli e il Mit di Cambridge (Usa). Dopo avere ricoperto molti incarichi, da gennaio 2018 è presidente di Anas Gruppo FS Italiane

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy