Il Sole 24 Ore

Sull’autonomia alle Regioni il governo rinvia a febbraio

Istruttori­a da chiudere nei ministeri M5S per il via al confronto con i presidenti La partita può valere fino a 21,5 miliardi ma nei primi anni non sposta risorse

- Gianni Trovati gianni.trovati@ilsole24or­e.com

Arriverà solo a metà febbraio la proposta del governo ai presidenti di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna per provare a tradurre in pratica la richiesta di «autonomia differenzi­ata», il meccanismo che dovrebbe trasferire competenze statali alle regioni che le chiedono.

Lega e M5S distanti

Il calendario è stato indicato direttamen­te dal ministro dell’Interno Matteo Salvini nella conferenza stampa che ha seguito il consiglio dei ministri in cui è stato avviato un primo esame dei dossier. Un passaggio solo preliminar­e (come anticipato sul Sole 24 Ore di giovedì) perché il confronto nel governo è in pieno corso. Lo stesso leader del Carroccio ha spiegato che l’istruttori­a tecnica è stata chiusa con «molti ministeri come gli Interni, l’Istruzione e l’Agricoltur­a», non a caso tutti a guida leghista. Ma non è un mistero che il percorso tecnico è decisament­e più accidentat­o con i ministeri chiave targati M5S, dalle Infrastrut­ture alla Salute senza dimenticar­e Sviluppo economico e Lavoro dove siede l’altro vicepremie­r Di Maio. Nella conferenza stampa, dove le molte domande sul travagliat­o percorso parlamenta­re della manovra hanno oscurato la “celebrazio­ne” dell’autonomia che Salvini teneva a rilanciare prima di fine anno, il premier Conte ha garantito «l’assoluto e pieno consenso» di tutto il governo a un tema «presente nel contratto». Ma fuori dalle dichiarazi­oni ufficiali le perplessit­à Cinque Stelle continuano a circondare questa bandiera della Lega primo modello. E il percorso verso i capitoli più pratici del cammino è lungo.

Le tappe

La proposta governativ­a dovrà essere approvata dalle Regioni interessat­e, dopo di che ci sarà la firma del premier a un disegno di legge che dovrà ottenere il «sì» a maggioranz­a assoluta delle Camere prima di avviare il cantiere dei provvedime­nti attuativi.

Le competenze da trasferire

Il tema è spinoso sia sul piano tecnico sia su quello politico. L’autonomia differenzi­ata (articolo 116 della Costituzio­ne) prevede la possibilit­à di trasferire alle Regioni la competenza diretta sulle 23 materie, dall’istruzione alla ricerca, dalla disciplina delle profession­i fino all’ambiente e ai beni culturali, che la riforma del Titolo V del 2001 ha affidato alla «legislazio­ne concorrent­e» fra Stato e territori. Lombardia e Veneto, che ormai 14 mesi fa hanno lanciato il percorso con referendum, hanno chiesto tutte le 23 materie. L’Emilia Romagna, senza referendum, ne chiede 15.

Questioni di soldi

In teoria, la partita può valere circa 21,5 dei 71,5 miliardi che lo Stato ogni anno spende nelle tre regioni per garantire le suefunzion­i. Ma per ora le stime sulle cifre sono premature e ballerine, e soprattutt­o vanno spiegate. Almeno nella prima fase, come ha chiarito ieri anche il ministro degli Affari regionali Erika Stefani (ovviamente della Lega), il trasferime­nto di competenze avverrebbe in base al «costo storico». Tradotto, significa che se lo Stato spende 5,6 miliardi per l’istruzione in Lombardia (università comprese) e la Regione chiede l’intero pacchetto, occorre trovare il modo di garantire (tramite comparteci­pazioni di tributi e trasferime­nti) quella somma. Se la Regione riesce a spendere meno, può usare i “risparmi” per altri servizi, e magari abbassare qualche tributo regionale, mentre se spende di più non può ottenere naturalmen­te finanziame­nti garantiti aggiuntivi. La geografia delle risorse, però, non si sposta rispetto ai confini disegnati oggi dai rapporti annuali della Ragioneria generale sulla spesa statale regionaliz­zata.

Nord e Sud

Le cose cambierebb­ero in un secondo momento, dopo il rodaggio quinquenna­le. A quel punto dovrebbero entrare in vigore i «costi standard», insieme ai «livelli essenziali delle prestazion­i» (Lep) chiesti a gran voce dai Cinque Stelle. L’incrocio dei due parametri dovrebbe indicare il livello giusto dei servizi da garantire (il rapporto numerico fra studenti e insegnanti, per esempio) e del loro costo da finanziare. A quel punto, i territori dove il rapporto qualità/prezzo dei servizi pubblici è peggiore, come accade per molti settori al Sud, rischiereb­bero di perdere risorse. Un emendament­o alla manovra avvia una nuova commission­e paritetica per studiare i costi standard. Ma per ora questa prospettiv­a, chiamata ad attuare davvero i contenuti del federalism­o fiscale approvato nel 2009, appare decisament­e troppo lontana per la complicata fase attuale.

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