Pa, riforma per centralizzare concorsi, commissari e premi
Per i dirigenti niente ruolo unico ma rinnovo incarichi solo per una volta
I concorsoni nazionali che si estendono anche agli enti locali, i posti da commissario riservati a chi si iscrive a un Albo nazionale tenuto dalla Funzione publbica, la selezione dei dirigenti che passa dalla via esclusiva della Scuola nazionale dell’amministrazione, e la valutazione dei dipendenti che viene gestita dal «sistema nazionale di valutazione delle performance», coordinato da Palazzo Vidoni, e si affida anche al peso crescente di soggetti «estranei all’amministrazione».
Sono le principali direzioni di marcia della legge delega di riforma della Pubblica amministrazione che ieri ha passato il primo esame in consiglio dei ministri. Il testo arriva mentre resta alta la polemica sul rinvio della presa in servizio nella Pa centrale al 15 novembre, soprattutto nelle università dove gli “abilitati” hanno già superato il concorso e si possono quindi vedere congelare le chance di chiamata.
Gli otto articoli del nuovo Ddl Bongiorno, che segue il disegno di legge «concretezza» (quello con i tornelli biometrici anti-assenteismo, approvato dal Senato e ora alla Camera) e la delega semplificazioni attesa al primo passaggio parlamentare, segnano un nuovo tentativo di riforma a tutto campo della Pubblica amministrazione. E non dimentica nessuno dei temi su cui si sono esercitati, con successi alterni, i progetti precedenti targati Brunetta e Madia.
L’ultimo in particolare era caduto sul terreno scivoloso della riforma dei dirigenti. E la nuova delega (si veda Il Sole 24 Ore di giovedì) torna sul tema all’articolo 4. Non si evoca più direttamente al ruolo unico che aveva alimentato la vittoriosa resistenza dei diretti interessati. Ma si punta comunque dritto contro il “posto fisso” dei dirigenti, prevedendo la possibilità di rinnovare l’incarico una sola volta quando l’ufficio da guidare è «altamente specializzato», e l’interessato ha una «competenza professionale elevata» e ha raggiunto «risultati significativi» al suo primo giro. Resta la distinzione fra prima e seconda fascia, ma si stringono i bulloni sui parametri da superare per arrivare al livello più alto. Il tutto in nome della mobilità, alzando al 30% la quota di posti che ogni amministrazione può coprire con dirigenti di altre amministrazioni, anche eliminando l’obbligo del via libera da parte della Pa di appartenenza. Mentre resta da capire la sorte dei dirigenti esterni alla Pa, a cui possono essere assegnati incarichi se non si trovano competenze adeguate «nell’amministrazione». L’addio al nulla osta dell’ente di provenienza viene prospettato anche per i dipendenti, con l’obiettivo di togliere qualche ostacolo alla mobilità volontaria.
Per il resto, la delega non può che tornare sugli eterni temi irrisolti delle riforme della Pa. A partire da merito e premi, su cui si prova a far crescere i compiti di soggetti esterni e organismi indipendenti, fino alla riscrittura dei procedimenti disciplinari (con iter semplificati per gli illeciti più leggeri), il rapporto legge-contratto e le regole sul risarcimento del danno per l’eccesso di contratti a termine (tema su cui l’Italia è già stata condannata dalla Ue). Per i decreti attuativi il governo si dà 18 mesi di tempo, più altri 12 per gli eventuali correttivi. Un orizzonte lungo tutto da verificare.