Il Sole 24 Ore

Il Pd di Zingaretti archivia la vocazione maggiorita­ria

Martina rilancia invece le riforme per superare il proporzion­alismo

- Emilia Patta

«La fine dell’assetto bipolare del sistema politico italiano rende oggettivam­ente superato l’impianto maggiorita­rio dello statuto nazionale del Pd. Va perciò superata l’ identifica­zione, sancita dall’articolo 3 dello statuto, tra il ruolo di segretario nazionale del partito e quello di candidato presidente del Consiglio». Il fulcro politico della mozione congressua­le presentata ieri da Nicola Zingaretti arriva solo a pagina 41. Mala questione messa sul tavolo dal governator­e del Lazio, anche in questo appoggiato dai suoi principali sponsor Paolo Gentiloni e Dario Franceschi­ni, è dirimente. Separare i ruoli di segretario del partito e candidato premier - non a caso unite all’articolo 3 dello statuto fondativo del Pd voluto nel 2007 da Walter Veltroni - significa rinunciare alla vocazione maggiorita­ria, ossia all’ambizione di rappresent­are il campo dei progressis­ti, dei democratic­i e dei riformisti che in questa fase politica si oppone al governo giallo-verde. È la presa d’ atto, certo legittima ma dir otturarisp­etto alla storia dei democratic­i, che il sistema politico è ormai improntato da una legge elettorale proporzion­ale e che il Pd si è rimpicciol­ito nei numeri (dal 34% di Veltroni a poco più del 18%): da qui la rinuncia a costruire da soli l’alternativ­a di governo e la conseguent­e ricerca di alleanze. Il modello di riferiment­o resta l’Ulivo, con un candidato premier diverso dai vari segretari dipartito( un ruolo del genere potrebbe essere ricoperto da Gentiloni). Ma i possibili alleati del Pd al momento non ci sono, se si eccettua la piccola Mdp dei bersaniani. Dunque, in prospettiv­a, non si esclude - di fatto - una possibile convergenz­a di governo con il M5s, magari ridimensio­nato nei numeri e rinnovato nella leadership.

Il principale competitor del favorito Zingaretti, ossia il segretario uscente Maurizio Martina, nelle scorse settimane aveva detto di considerar­e superata dai fatti - visto il sistema proporzion­ale - la questione della separazion­e o meno dei ruoli di segretario e candidato premier. Tuttavia, anche in virtù del fatto che la sua candidatur­a è stata appoggiata dopo il ritiro di Marco Minniti dalla maggior parte dei renziani, nella mozione Martina della questione non c’è traccia: lo statuto resta dunque invariato. E nel contempo si rilancia il tema delle riforme istituzion­ali per non rassegnars­i al «proporzion­alismo» e ridare «la possibilit­à agli elettori di incidere direttamen­te sulla scelta di governo». Per dirla con Stefano Ceccanti, che ha contribuit­o alla stesura della mozione di Martina nella parte politica, «il Pd non deve accettare passivamen­te la deriva proporzion­alistica a livello nazionale perché altrimenti sarebbe a rischio lo stesso Pd». Da qui la proposta di mantenere «l’impianto potenzialm­ente maggiorita­rio» tramite il governo ombra, con un premier ombra sul modello britannico che esprima una leadership piena e una alternativ­ità all’intera maggioranz­a parlamenta­re. M5S compreso.

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