I rischi di un no alla ricapitalizzazione
Cosa accadrebbe al piano di salvataggio di Banca Carige se oggi l’assemblea degli azionisti dovesse respingere la delega al cda per l’aumento di capitale da 400 milioni? Per clienti e investitori sarebbe un ulteriore salto nel vuoto. La solidità patrimoniale della banca (in termini di total capital ratio) resterebbe appesa solo al bond subordinato da 320 milioni sottoscritto dallo Schema Volontario del fondo interbancario di garanzia, con un rendimento che salirebbe dal 13 al 16%, indispensabile per riequilibrare entro il 31 dicembre le richieste di Bce. Ma il riequilibrio durerebbe solo per poche settimane poichè già a inizio febbraio la Vigilanza Bce comunicherà a Carige le nuove richieste per il 2019 in termini di Cet1 nell’ambito del processo di valutazione Srep. Che cosa accadrebbe se la richiesta fosse superiore alla dotazione attuale di capitae di Carige? Una indicazione arriva dal verbale del cda della banca ligure che lo scorso 29 novembre ha approvato l’emissione del bond. «Nel caso in cui l'assemblea della banca non approvi l'aumento di capitale o, comunque, la banca non possa dare corso all'aumento di capitale entro il 30 giugno 2019 (esteso ieri da Bce a fine 2019, ndr) - si legge nel documento - lo Schema Volontario, ove in qualsiasi momento nel corso della durata del prestito obbligazionario la banca non rispetti, a livello individuale e/o consolidato, i requisiti minimi di capitale alla stessa applicabili potrà utilizzare – su richiesta della banca medesima e/o delle competenti Autorità di Vigilanza– le obbligazioni dallo stesso detenute per rafforzare Cet1 della Banca nella misura di volta in volta necessaria a garantire il rispetto dei suddetti requisiti minimi». In teoria, dunque, il bond sottoscritto dal fondo potrebbe trasformarsi automaticamente in azioni su richiesta della Vigilanza, evitando il default della banca. Sempre ammesso che i clienti, nel frattempo, non si impauriscano e abbandonino Carige.