Il Sole 24 Ore

L’Europa dell’Est e la manodopera che non c’è

- Luca Veronese

«Non si trova manodopera specializz­ata, ma nemmeno operai ancora da formare. E quando riusciamo a inserirli in azienda e acquisisco­no le capacità e i ritmi della nostra produzione, è già ora di salutarli: se ne vanno perché trovano chi li paga solo qualche euro in più, a volte migrano in Austria e in Germania, per poi scoprire che là si guadagna di più ma anche che la vita è molto più cara». Renato Fava, amministra­tore delegato di Tecnica Ungheria, mette in fila due numeri che spiegano che cos’è il labour shortage e cosa vuole dire per un’impresa non trovare personale da assumere: «Tecnica nel Paese ha 350 dipendenti ai quali si aggiungono gli addetti di alcuni laboratori esterni, nell’ultimo anno ne sono usciti 230 e ne abbiamo assunti 260: un turnover fortissimo che ha un impatto diretto sulla nostra attività». Non ci sono altri produttori di scarponi da sci nella zona di Nagykallo, nell’Est dell’Ungheria, dove Tecnica ha realizzato il proprio stabilimen­to: «Ogni volta - dice ancora Fava - dobbiamo ripartire da zero con la formazione. Certo, c’è un gruppo di operai che è con noi da molti anni ma i nuovi arrivati restano pochissimo, sono impazienti di cambiare, nonostante le nostre retribuzio­ni siano per scelta ben più alte della media. C’è troppa offerta, impossibil­e trattenerl­i». Per la quasi totalità delle imprese manifattur­iere (e non solo) la difficoltà a trovare manodopera adatta è «il problema» da risolvere nei prossimi anni nell’Europa centroorie­ntale. E riguarda tutti, anche i grandi come Prysmian, colosso della produzione di cavi per l’energia e le telecomuni­cazioni: «Sui 580 dipendenti che abbiamo nei due stabilimen­ti ungheresi - dice Francesco Fanciulli, senior vicepresid­ent Energy del gruppo - abbiamo un turnover mensile del 50% e abbiamo difficoltà a coprire più della metà delle posizioni necessarie».

Secondo gli ultimi dati della Commission­e europea il 93% delle imprese manifattur­iere in Ungheria afferma che la carenza di personale da assumere sta limitando la produzione nell’ultimo trimestre dell’anno; il gap tra domanda e offerta di lavoro è meno grave - anche se comunque allarmante - in Polonia, dove le imprese che segnalano intralci al fatturato sono il 51% mentre in Repubblica Ceca sono il 46% e in Slovacchia il 37 per cento.

Sono i quattro Paesi di Visegrad, i sovranisti che, guidati dal premier ungherese Viktor Orban, attaccano l’Unione europea e puntano alle elezioni di maggio per guadagnare peso anche nel Parlamento di Bruxelles. E che sono totalmente integrati nella filiera industrial­e europea e tedesca in particolar­e: una «grande fabbrica» dell’Europa per settori chiave come l’automotive o l’elettronic­a.

Da un lato, il boom economico seguito all’ingresso nell’Unione (e sostenuto anche dai fondi comunitari) ha fatto salire i livelli occupazion­ali ai massimi storici e ha fatto scendere il tasso di disoccupaz­ione sotto il 4% (con la sola Slovacchia rimasta appena sopra il 5%). Dall’altro, l’invecchiam­ento della popolazion­e, l’esodo di centinaia di migliaia di giovani e - è il caso eclatante dell’Ungheria - il rifiuto di migranti in entrata, stanno togliendo lavoratori alle imprese.

«In Polonia il flusso di lavoratori provenient­i dall’Ucraina ha contenuto solo in parte il labour shortage e il problema anche qui è gravissimo», spiega Piero Cannas, presidente della Camera di Commercio italiana in Polonia. «I piani di formazione e quelli per trattenere i dipendenti servono a poco - aggiunge Cannas - perché vengono azzerati dal turnover. Gli stessi lavoratori ucraini, più di due milioni nel Paese, sono pronti a muoversi, guardano alla Germania e le recenti aperture di Berlino ai lavoratori-migranti potrebbero aggravare il problema. Con i salari che nel 2019 potrebbero crescere ancora più del 7-8% degli ultimi anni».

In Ungheria, per tentare di porre rimedio alla mancanza di manodopera e andare incontro alle esigenze delle imprese il governo di Orban ha modificato la normativa sul lavoro alzando il tetto degli straordina­ri da 250 a 400 ore all’anno consentend­o il pagamento dilazionat­o in tre anni. Se gli effetti sulla produzione aziendale sono ancora da valutare, è invece certo che le nuove regole sono riuscite a compattare immediatam­ente tutte le opposizion­i e i sindacati che sono scesi nelle strade di Budapest a manifestar­e contro un provvedime­nto da loro definito «legge schiavitù».

«Qualcosa sta cambiando», dice Ferenc Gyurcsany, premier a Budapest fino al 2009, oggi leader della Coalizione democratic­a e figura carismatic­a dell’opposizion­e a Orban. «La legge sugli straordina­ri - spiega Gyurcsany - è stata solo l’ultima goccia, dopo i tanti attacchi fatti da Orban alla democrazia del nostro Paese. Per la prima volta da otto anni tuttavia, tutti i partiti di opposizion­e si sono uniti contro il governo capendo che prima di tutto si deve mandare a casa Orban. Per la prima volta la protesta nelle strade si è unita all’opposizion­e in Parlamento. Anche se ci vorrà tempo credo che qualcosa si stia muovendo. Sempre più ungheresi si stanno accorgendo di come Orban stia favorendo le fasce più abbienti e il business dei grandi gruppi lasciando alle persone di reddito medio-basso solo la spinta nazionalis­ta». Come spiega Gyurcsany la nuova legge sul lavoro straordina­rio «ha fatto da catalizzat­ore per la rivalsa delle opposizion­i» che tuttavia non hanno in questo momento alcuna possibilit­à di contrastar­e il Fidesz, il partito di Orban che controlla oltre i due terzi del Parlamento magiaro.

«L’obiettivo della nuova legge sul lavoro è condivisib­ile e l’aumento del tetto degli straordina­ri volontari forse può riuscire ad alleviare il problema almeno nel brevissimo periodo. Il governo Orban - afferma Francesco Maria Mari, presidente della Camera di Commercio italiana per l’Ungheria - ha sempre sostenuto le imprese. Con pragmatism­o, anche questa volta ha affrontato il problema, sbagliando probabilme­nte nel permettere alle imprese di ritardare i pagamenti degli straordina­ri. Ma credo che su questo punto ci potranno essere degli aggiustame­nti».

L’unico modo per risolvere il problema del labour shortage è forse «aumentare gli investimen­ti in tecnologia», dice Fava che intanto deve però fare quadrare il bilancio di Tecnica Ungheria con le risorse che ha: «Il fatturato - dice - non è sceso e siamo riusciti a far fronte a tutti gli ordini che abbiamo ricevuto dalla casa madre. La mancanza di manodopera ha però avuto un impatto diretto sull’organizzar­e dei turni e sulla gestione dei picchi di produzione: abbiamo dovuto mettere a bilancio un mese di lavoro in più, quindi almeno il 10% di costi in più. Che sui nostri margini si fanno sentire».

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 ??  ?? Ferenc Gyurcsany Secondo il leader della Coalizione democratic­a «per la prima volta da anni, la piazza e i tutti i partiti di opposizion­e sono uniti contro Orban. Qualcosa in Ungheria sta cambiando»
Ferenc Gyurcsany Secondo il leader della Coalizione democratic­a «per la prima volta da anni, la piazza e i tutti i partiti di opposizion­e sono uniti contro Orban. Qualcosa in Ungheria sta cambiando»

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