La voce elegiaca di tredici folli
«Parlano» i pazienti dell’ospedale psichiatrico Bianchi
Icanti di Anna Marchitelli sono tredici come quel giorno del maggio 1978 quando venne approvata la legge Basaglia. Prestano una voce spesso elegiaca a pazienti ammessi tra il 1885 e il 1958 nel manicomio del Sales, e dal 1909 nell’ospedale psichiatrico Leonardo Bianchi a Capodichino, la “città dei matti” oggi discarica abusiva. Era una “struttura all’avanguardia” dalla quale Napoli andava fiera: padiglioni uniti da porticati, con officine e perfino una colonia agricola. In compenso le terapie erano all’antica. Alla prima vittima - l’avvocato Mogliazza, affetto da tubercolosi e da incontrollabili attacchi di ira - venivano prescritte «gran quantità di vino».
Quantità letali, secondo il giovane che muore a 33 anni. O secondo l’autrice che nell’introduzione invita a brindare ai suoi folli e «alla sublimazione della follia»?
Meglio di no. Anche perché non sappiamo di chi sono le frasi fra virgolette, quanta la creatività dell’autrice e quanta l’informazione trovata nelle cartelle cliniche, scelte fra le migliaia salvate dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale e dal degrado dopo la chiusura de manicomi. Forse le lettere di parenti che supplicano l’amministrazione di liberare o di non dimettere il paziente, dicevano altro di quello che leggiamo. Dopotutto quei tredici narratori sono inaffidabili per definizione. I gesti ossessivi di Maria Guarino, che si crede miracolosamente incinta mese dopo mese, sono stati davvero osservati da qualcuno? E la spavalderia del narratore successivo? Emilio Caporali ha fracassato con un sasso la mascella del primo ministro, «il magnifico cavalier Crispi dai fiocchi imperiali!». Evita il carcere grazie a un presidente lombrosiano della Corte d’assise, tre luminari lo misurano «come un mobile di falegnameria» e lo mandano a Capodichino. Sa come fare per uscirne presto e appena libero «ripensa all’idiozia di quel medico che di me diceva avessi una memoria labile» perché sembrava incapace di ricordare i versi oscuri di Leopardi.
C’è chi non vorrebbe lasciare Capodichino. Renato Caccioppoli, il matematico finalmente disintossicato dall’alcol, ridiventa il professore «accondiscendente» che conversa amabilmente con il personale. Per i medici è un «neuropatico» sulla via della guarigione. Ma la libertà gli è insopportabile e si suicida.
Le melodie si somigliano. Il canto dell’assassino paranoico e quello della violinista straziata dalla morte delle figlie si fondono nel coro. Invece il monologo di Gennaro Abbatemaggio è inconfondibile. Lui si trova «proprio bene al Bianchi», tutti sono cordiali, lo trattano con un rispetto ricambiato. Lo ammettono per l’ultima volta nel 1958, a 67 anni, con una professionalità sulla quale non ha da ridire. È contento di sé, nella vita si è sempre divertito, da camorrista e soprattutto da primo collaboratore di giustizia. «La fama me la sono conquistata con il processo Cuocolo» nel 1912. Pentito solo all’apparenza, entra in manicomio quando si sente braccato dal «capo dei capi», ne esce per sbrigare «affari importanti». Purtroppo con gli anni la sua fama declina. Un tentato suicidio non ha la «risonanza» sperata, allora si «infila» nel processo Montesi, ma gli accusati dell’assassinio vengono assolti.
«Io non contavo più nulla, e su consiglio di un amico decisi di farmi ricoverare di nuovo al Bianchi per ritrovare la serenità di spirito». Il consiglio sottintende una rete di complicità tra magistrati, camorristi e psichiatri o a pensar male si fa peccato? È l’agosto del 1957, a fine settembre è «nuovamente dimesso con la diagnosi di non folle» e fuori non lo attende nessun capo per fargliela pagare. Il divertimento è finito.
Tredici canti (12 + 1) è il primo libro di Anna Marchitelli, speriamo che il prossimo sia un noir napoletano.
TREDICI CANTI (12 + 1 )
Anna Marchitelli Neri Pozza, Vicenza, pagg. 158, € 13,50