La riscoperta di Ludwig Pollak, il grande archeologo dimenticato da tutti
Una mostra al Museo Barracco e al Museo Ebraico di Roma dedicata al grande archeologo che influenzò il mercato artistico romano. E che perì nei campi nazisti
Era un uomo famoso, oggi sconosciuto, Ludwig Pollak. Nato nel ghetto di Praga nel 1868 in un alloggio poverissimo e non riscaldato, i genitori ebrei osservanti, negozianti di tessuti antichi. Tutto ciò non impedì al giovane di seguire studi universitari approfonditi all’Università di Vienna, dove fu allievo di un allievo di Theodor Mommsen, il grande erudito, italianista e storico.
A Vienna fu ammirato per le sue capacità intellettuali che lo fecero divenire un grande filologo e un grande archeologo, dotato di un occhio eccezionale. Laureatosi con gran successo si stabilì poi a Roma dove trascorse la maggior parte della vita, all’inizio brillantemente: ma era ancora quel mondo descritto da Stefan Sweig, il mondo di ieri, tramontato alla fine della prima Guerra Mondiale. Pollak venne subito apprezzato da quella società di aristocratici colti, di collezionisti d’eccezione, di professori e di conoscitori, un mondo al quale appartenevano due altri personaggi in qualche modo paragonabili a lui: Wilhem von Bode, direttore dei musei di Berlino, e Bernard Berenson, maestro del gusto, il papa della storia dell’arte così come Bode ne era l’imperatore. Von Bode, Berenson e Pollack in un certo senso guidavano anche il mercato d’arte in Europa e in America, ma all’inizio quelle direttive commerciali non erano tinte di pregiudizi sociali, anzi ognuno dei tre signori – Pollak, è vero, in ordine minore – dettavano le mode artistiche. Pollak, che era l’agente di Bode nella Roma archeologica, abitava in un magnifico appartamento a Palazzo Odescalchi, in piazza Santi Apostoli.
La fine della Grande Guerra apre indirettamente le porte al fascismo e il mondo di ieri si trasformerà in quell’epoca barbarica sfociata nella Seconda Guerra Mondiale. Il nazifascismo portò Pollak ad una morte brutale; Berenson, più abile, si salvò da questo destino sfruttando le sue relazioni sociali fra le quali contava Filippo Serlupi Crescenzi, Ambasciatore di San Marino presso la Santa Sede, che lo ospitò nella sua residenza nei pressi di Firenze. Berenson vi passò il tempo peggiore della guerra: anche lui come ebreo correva seri pericoli.
Nella mostra Ludwig Pollak. Archeologo e mercante d’arte che si tiene fino al 5 maggio nel Museo Barracco e nel Museo Ebraico di Roma si segue con estrema attenzione e onestà la carriera dello studioso che fra molte altre cose trovò il braccio mancante ad una delle più celebri sculture dell’antichità, il gruppo del Laocoonte dei Musei Vaticani. Non tutto quello che riuscì ad identificare gli è stato sempre riconosciuto. La celebre Fanciulla di Anzio, oggi creduta elleni
stica, fu rinvenuta nel 1878 fra le rovine della Villa di Nerone ad Arco Muto: non ne fu capita subito la bellezza singolare fino ad una intuizione di Pollak.
Oggi il suo contributo è dimenticato. Il livore che qui e là si indovina ancora quando si parla di lui non è dovuto soltanto a motivi razziali ma anche alle sue mediazioni commerciali che gli fruttarono non pochi denari e altrettanta invidia. Oggi si stima che Pollak fu dietro alle vendite di una cinquantina di antichità al Museo di Vienna, quarantacinque alla Liebieghaus di Francoforte, ventisette alla Ny Carlsberg di Copenaghen, venticinque a Berlino, un numero imprecisato al Metropolitan di New York, ai musei di Boston e a molte altre raccolte americane. Molti preferiscono dimenticare quante ne cedette a prezzi modesti all’Italia e quante ne donò a tutti noi: trentadue, ad esempio, al Mu
seo Barracco, molte al Vaticano. Credo che sia solo stata la Chiesa, fino alla presente rassegna, a ricordarlo come merita. Barracco fu un suo grande amico e lo considerava come suo figlio. Ma Barracco era un grande uomo, quel che allora si chiamava un patriota, parola che per il suo uso improprio per decenni è quasi diventata offensiva: con lui assurge al suo vero significato di benefattore dello stato e della cultura e infine donatore di uno dei più bei piccoli musei d’Italia.
La figura di Pollak risorge oggi non tanto dalla tomba in cui venne gettato quanto dalla giustizia. Io stesso conoscevo il suo nome ma lo confondevo talvolta con quello di Oskar Pollak, suddito imperiale anche lui ma viennese, che pubblicò negli anni Trenta i documenti dell’epoca di Urbano VIII. Ma sapevo bene quello che aveva studiato Ludwig e ho visto più volte i suoi libri, volumi lussuosi e di piccola tiratura che non possiedo, nemmeno uno. Alcuni li ho avuti tra le mani, come le Pièces de choix de la collection du Comte Grégoire Stroganoff à Rome, scritta nel 1911 insieme ad Antonio Muñoz, uomo colto, divenuto fascista ma non troppo settario, parente di Federico Zeri nella cui biblioteca vidi queste bellissime pubblicazioni. Da qualche altra parte invece potei sfogliare il libro di Pollak sulla raccolta di Alfredo Barsanti, un ben noto negoziante che aveva composto una collezione di bronzi del Rinascimento. Il libro, del 1922, aveva una prefazione dell’”imperatore” Bode e riguardava un campo che non era quello speci-
fico di Pollak denotando così la sua vasta cultura (non a caso egli proveniva dalla Scuola di Vienna che contava personaggi come Alois Riegl e Franz Wickhoff). Non credo invece di aver mai visto il catalogo
pubblicato a Lipsia nel 1903 Klassisch-antike Gold-schmiedearbeiten im Besitze S. Excellenz A. J. v. Nelidow. Nelidow aveva composto una straordinaria raccolta di ori antichi nei lunghi anni in cui era stato ambasciatore dello Zar presso il Sultano, percorrendo le vaste province dell’Impero Ottomano; quando divenne ambasciatore in Italia gli venne presentato Pollak da un altro archeologo e trafficante famoso, Wolfgang Helbig. Nelidow incaricò Pollak di catalogare la sua eccezionale collezione e questi passò lunghi mesi visitando musei, raccolte e antiquari di Alessandria, del Cairo, di Costantinopoli e di Atene, divenendo il miglior conoscitore di quel prezioso ramo della storia dell’arte. Queste e molte altre informazioni si trovano nei brillanti saggi di Orietta Rossini nel presente catalogo.
Le scoperte di Pollak restano comunque salde e sembra siano state dovute alla scienza ma anche all’ispirazione. Bastava talvolta sciogliere un indovinello, seguire un’idea dovuta più al sentimento che alla erudizione. E così oggi si può anche comprendere come il metodo intuitivo di certi conoscitori d’arte può avvicinarsi a quello della psicoanalisi e a Sigmund Freud. Non è casuale che sia Pollak sia Freud si capissero perfettamente. Non sappiamo se Freud ebbe in cura Pollak ma è invece certo che quest’ultimo catalogò le tremila opere antiche del primo ed è così lecito credere che il sistema dello studio storico artistico non sia troppo lontano da quello delle investigazioni della psiche. Cito qui una frase di Freud: «ho letto più libri sull’archeologia che sulla psichiatria».
Il 16 ottobre 1943 Pollak e la sua famiglia vennero avvertiti della razzia imminente a Roma ma, con quella fatalità a cui molti perseguitati si affidano, egli si rifiutò di mettersi in moto. Non sappiamo nemmeno se la sua fine avvenne ad Auschwitz o addirittura prima di attraversare i confini italiani.
LUDWIG POLLAK. ARCHEOLOGO E MERCANTE D’ARTE (PRAGA 1868 - AUSCHWITZ 1943) Roma, Museo Ebraico di Roma e Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco fino al 5 maggio 2019