Completare la riforma è la strada per smascherare i finti buoni
La reintroduzione dell’Ires agevolata per gli enti non profit ha messo in primo piano la questione legata al ruolo di queste realtà e l’importanza di velocizzare l’attuazione della riforma del terzo settore, con effetti su un mondo che conta quasi 7 milioni di persone, tra volontari e lavoratori.
Quello che è emerso dal dibattito pubblico è prima di tutto la confusione sulla definizione di terzo settore e sulle attività degli enti. Norme come l’articolo 6 del Dpr 601/1973 hanno la funzione di ridurre il carico fiscale (in questo caso con Ires dimezzata al 12%), per aumentare il flusso finanziario a disposizione degli enti non profit per svolgere servizi di rilevanza sociale. Quindi vuol dire che gli enti del terzo settore possono svolgere «attività commerciale», sebbene in misura limitata, la cui tassazione viene agevolata proprio in ragione del perseguimento di finalità solidaristiche e del vincolo di reinvestimento nelle attività istituzionali dell’ente.
Il caso della norma abrogata è esemplificativo. Il beneficio dell’articolo 6 spetta oggi a circa 14mila enti che svolgono attività socialmente rilevanti (come assistenza sociale, beneficenza e istruzione) e che lo utilizzano prevalentemente per ridurre l’impatto sulla tassazione dei redditi da fabbricati, terreni o di capitale. Se i numeri indicati nella legge di Bilancio sono corretti, il reddito imponibile dovrebbe superare in questo caso un miliardo di euro. Senza la reintroduzione dell’agevolazione non è difficile, dunque, immaginare che in alcuni settori vi sarà un calo importante di risorse e, conseguentemente, di servizi che in buona parte dovranno essere trasferiti a carico degli enti locali, con buona pace del principio di sussidiarietà.
Il dibattito pubblico sulle misure fiscali del non profit si accompagna sistematicamente anche a quello sui «furbetti», e, dunque, al tema di riservare le agevolazione fiscali agli enti davvero meritevoli. Per questo, però, non esistono ricette miracolose: l’unica soluzione è incrementare trasparenza e controlli, unitamente ad un sistema fiscale in grado di calibrare adempimenti e vantaggi alle dimensioni e alle attività degli enti. Per realizzare tale obiettivo, il Governo si è impegnato a dare rapida attuazione alla riforma del terzo settore con l’istituzione, entro l’anno, del Registro unico nazionale, grazie al quale ci sarà occasione di monitorare gli enti al momento dell’iscrizione e vagliarne l’effettivo svolgimento delle attività. Ancora due, però, gli ulteriori step importanti: convocazione della cabina di regia per approvare alcuni provvedimenti essenziali per il nuovo quadro normativo (decreto sulle attività strumentali e linee guida per la redazione del bilancio sociale) e accelerazione dell’iter di approvazione delle nuove misure fiscali da parte della Commissione europea. Dopo gli attesi interventi di adeguamento contenuti nel decreto fiscale si aspetta ora un deciso cambio di marcia per rendere operativi gli strumenti introdotti dalla riforma.