Il Sole 24 Ore

Bene riscattabi­le se la società di leasing viene liquidata

La riforma conferma la disciplina prevista della legislazio­ne attuale

- Roberto Marinoni

Il contratto di leasing ha da sempre costituito un negozio accompagna­to da numerosi problemi interpreta­tivi (e di soluzione) in materia concorsual­e, ed in particolar­e nella procedura di fallimento. In passato il dibattito ha riguardato la natura traslativa o di locazione pura del leasing , così da farne discendere soluzioni giustifica­te dal richiamo analogico ad altre norme, come la locazione o la vendita a rate. Ed il dibattito diveniva ancora più ampio ed intricato se, anziché limitarsi al contratto di locazione finanziari­a pendente al tempo della dichiarazi­one di fallimento, si allargava ai leasing risolti anteriorme­nte all’apertura del concorso.

Il legislator­e era intervenut­o sul tema sia con la riforma del 2006, introducen­do l’articolo 72quater e e poi nel 2007, per precisare dei concetti. L’intervento aveva riguardato la sola disciplina del contratto pendente al tempo del fallimento, per radiografa­rne gli effetti rispetto alla dichiarazi­one di fallimento del concedente o dell’utilizzato­re. L’articolo 1 della legge 124/2017 (commi da 136 a 140) aveva poi messo mano alla disciplina del contratto di leasing risolto prima del fallimento, dichiarand­o applicabil­e anche a questa ipotesi i principi dettati dall’articolo 72quater, a condizione tuttavia che il bene oggetto della operazione di leasing fosse stato periziato per determinar­ne il valore sia all’atto della messa a disposizio­ne dell’utilizzato­re che all’atto del suo realizzo conseguent­e alla risoluzion­e.

Ora, anche se l’articolo 177 del Codice della crisi e dell’insolvenza ha sostituito l’articolo 72, nella sostanza, i principi fissati dalla precedente riforma restano invariati.

Ed infatti,il nuovo articolo 177 del Codice, prevede che:

 se la liquidazio­ne giudiziale concerne il concedente, e quindi la società di leasing, il contratto non si scioglie, e l’utilizzato­re ha la facoltà di riscattare il bene se previsto, pagando il prezzo contrattua­le;

 se la liquidazio­ne riguarda l’utilizzato­re, il concedente ha invece diritto alla restituzio­ne del bene, dovendo versare al curatore la differenza tra il credito residuo insinuabil­e e la maggior somma ricavata dalla vendita o altra allocazion­e del bene. A meno che tale delta sia a credito del concedente, per il fatto che la vendita o allocazion­e sia inferiore al credito contrattua­le, che pertanto diviene oggetto di insinuazio­ne (articolo 177, secondo comma).

Ed è a questo riguardo che viene introdotta una novità: il secondo comma precisa infatti che l’insinuazio­ne viene fatta sulla base di una stima disposta in sede di verifica del passivo e salvo conguaglio in sede di riparto, sulla base del ricavato effettivo. In altre parole: la stima serve per una insinuazio­ne condiziona­ta al passivo.

Apparentem­ente la nuova norma non ripete l’inciso , secondo il quale nell’esercizio provvisori­o il leasing pendente prosegue, salva facoltà di scioglimen­to del curatore. Ma il principio non è perso; il comma 7 del nuovo articolo 211 («esercizio dell’impresa del debitore») conferma che i contratti pendenti, e quindi anche il leasing, proseguono come naturale effetto della continuità aziendale e salva diversa determinaz­ione del curatore.

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