Bene riscattabile se la società di leasing viene liquidata
La riforma conferma la disciplina prevista della legislazione attuale
Il contratto di leasing ha da sempre costituito un negozio accompagnato da numerosi problemi interpretativi (e di soluzione) in materia concorsuale, ed in particolare nella procedura di fallimento. In passato il dibattito ha riguardato la natura traslativa o di locazione pura del leasing , così da farne discendere soluzioni giustificate dal richiamo analogico ad altre norme, come la locazione o la vendita a rate. Ed il dibattito diveniva ancora più ampio ed intricato se, anziché limitarsi al contratto di locazione finanziaria pendente al tempo della dichiarazione di fallimento, si allargava ai leasing risolti anteriormente all’apertura del concorso.
Il legislatore era intervenuto sul tema sia con la riforma del 2006, introducendo l’articolo 72quater e e poi nel 2007, per precisare dei concetti. L’intervento aveva riguardato la sola disciplina del contratto pendente al tempo del fallimento, per radiografarne gli effetti rispetto alla dichiarazione di fallimento del concedente o dell’utilizzatore. L’articolo 1 della legge 124/2017 (commi da 136 a 140) aveva poi messo mano alla disciplina del contratto di leasing risolto prima del fallimento, dichiarando applicabile anche a questa ipotesi i principi dettati dall’articolo 72quater, a condizione tuttavia che il bene oggetto della operazione di leasing fosse stato periziato per determinarne il valore sia all’atto della messa a disposizione dell’utilizzatore che all’atto del suo realizzo conseguente alla risoluzione.
Ora, anche se l’articolo 177 del Codice della crisi e dell’insolvenza ha sostituito l’articolo 72, nella sostanza, i principi fissati dalla precedente riforma restano invariati.
Ed infatti,il nuovo articolo 177 del Codice, prevede che:
se la liquidazione giudiziale concerne il concedente, e quindi la società di leasing, il contratto non si scioglie, e l’utilizzatore ha la facoltà di riscattare il bene se previsto, pagando il prezzo contrattuale;
se la liquidazione riguarda l’utilizzatore, il concedente ha invece diritto alla restituzione del bene, dovendo versare al curatore la differenza tra il credito residuo insinuabile e la maggior somma ricavata dalla vendita o altra allocazione del bene. A meno che tale delta sia a credito del concedente, per il fatto che la vendita o allocazione sia inferiore al credito contrattuale, che pertanto diviene oggetto di insinuazione (articolo 177, secondo comma).
Ed è a questo riguardo che viene introdotta una novità: il secondo comma precisa infatti che l’insinuazione viene fatta sulla base di una stima disposta in sede di verifica del passivo e salvo conguaglio in sede di riparto, sulla base del ricavato effettivo. In altre parole: la stima serve per una insinuazione condizionata al passivo.
Apparentemente la nuova norma non ripete l’inciso , secondo il quale nell’esercizio provvisorio il leasing pendente prosegue, salva facoltà di scioglimento del curatore. Ma il principio non è perso; il comma 7 del nuovo articolo 211 («esercizio dell’impresa del debitore») conferma che i contratti pendenti, e quindi anche il leasing, proseguono come naturale effetto della continuità aziendale e salva diversa determinazione del curatore.