PIÙ DONNE DI SCIENZA PER VINCERE LA SFIDA DELLA COMPETITIVITÀ
Tra le giornate internazionale dell’Onu, quella delle donne nella scienza, che dal 2016 cade l’11 febbraio, è una delle quali si parla di più. Al di là del valore simbolico che ha ricordarsene una volta all’anno, perché non sia vacua retorica è fondamentale che di un tema tanto importante si discuta con serietà e continuità.
I dati innanzitutto. Tra i laureati, le ragazze sono ormai la maggioranza in tutti i Paesi industrializzati. Ma ancora poche sono quelle che scelgono le discipline Stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica). A livello mondiale, secondo l’Unesco le donne rappresentano meno di un terzo degli studenti e dei ricercatori. Anche se in Italia, per una volta vien da dire, va un po’ meglio: il 53% dei laureati in discipline Stem è costituito da donne, contro una media Ocse ferma al 39%. Sono però i ragazzi a dominare in ingegneria e informatica.
Si potrebbe continuare pressoché all’infinito con gli indicatori – tra cui quello dei Premi Nobel e delle medaglie Fields, ambedue dei boys’ club – ma ci sembra più interessante capire il perché. Non è una questione di capacità intrinseche. Non ci sono differenze di genere nelle abilità quantitative e matematiche nei bambini di età compresa tra 6 mesi e 8 anni. Le differenze emergono successivamente, e in gran parte ciò è dovuto a fattori esterni, tra cui la famiglia e il contesto sociale. A ogni età il suo problema. È due volte più probabile che siano i maschietti a ricevere un giocattolo di valenza scientifica come un microscopio, mentre le bambole restano il regalo “naturale” per le bambine. La divergenza vera tra sessi in termini di preferenze di studio si manifesta intorno ai 15 anni, quando si delineano l’auto-percezione, la fiducia in sé stessi, il senso della propria identità, i giudizi di valore e la proiezione nel futuro. Secondo l’indagine Pisa (Programma di valutazione internazionale degli studenti) del 2015, i genitori hanno aspettative tre volte più grandi che siano i figli maschi a perseguire una carriera in ingegneria o informatica – anche a parità di risultati a scuola – e tre volte superiore che le ragazze scelgano invece medicina o biologia.
A monte ci sono indubbiamente pregiudizi e stereotipi: in uno studio del 2015, il Geena Davis institute on gender in media ha mostrato come solo il 12% dei personaggi identificabili con le Stem sullo schermo sia femminile. Mancano poi le role model, proprio perché sono poche le scienziate il cui contributo viene riconosciuto dai peer, tanto che è molto scarsa la presenza femminile nei comitati che distribuiscono riconoscimenti e risorse. E manca la consapevolezza che avere poche donne nelle Stem si traduce in perdita di risorse umane di qualità, necessarie ad affrontare le grandi sfide dello sviluppo sostenibile delineate dall’Agenda 2030, o quelle inerenti alla Nuova rivoluzione industriale. Rispetto al contributo femminile, c’è un paradosso che riguarda l’Italia quando si guarda ai mestieri del digitale: le donne sono pochissime ma, in compenso, a parità di competenze, vengono pagate più degli uomini.
Si deve cominciare dalla scuola, con azioni mirate, come eliminare
bias e stereotipi dai testi scolastici; introdurre la partecipazione a progetti concreti, come costruire un razzo o un piccolo robot; valorizzare le abilità di ciascuno; incoraggiare l’apprendimento attraverso gli errori; proporre
role model e spiegare le prospettive, anche di impatto sociale, che i lavori Stem offrono. E sviluppare una nuova narrativa sulla scienza e la tecnologia, basata sull’emozione della scoperta e il piacere della curiosità.
Tutte azioni per cui c’è bisogno di volontà politica e di politiche solide. Al G7 di Taormina del 2016, il governo italiano volle fortemente che l’emancipazione economica delle donne e delle ragazze fosse un punto specifico dell’agenda. Nella G7 roadmap for a gender-responsive economic empowere
ment si afferma per la prima volta al massimo livello che, oltre alle problematiche distributive o di giustizia sociale, la parità di genere è imprescindibile per conseguire crescita e benessere economico. Tra le priorità identificate c’è quella di incoraggiare la presenza femminile nelle Stem, in particolare intensificando, entro il 2020, gli sforzi destinati a tutti gli stakeholder (bambine, genitori, insegnanti e scuole) per combattere gli stereotipi. Non costa niente augurarsi che l’11 febbraio dell’anno prossimo l’Italia scopra di essere la migliore del G7 – anche se è più probabile che anche quel giorno le professioni di buone intenzioni saranno più frequenti che gli atti pratici.