Il Sole 24 Ore

PIÙ DONNE DI SCIENZA PER VINCERE LA SFIDA DELLA COMPETITIV­ITÀ

- di Andrea Goldstein e Ersilia Vaudo

Tra le giornate internazio­nale dell’Onu, quella delle donne nella scienza, che dal 2016 cade l’11 febbraio, è una delle quali si parla di più. Al di là del valore simbolico che ha ricordarse­ne una volta all’anno, perché non sia vacua retorica è fondamenta­le che di un tema tanto importante si discuta con serietà e continuità.

I dati innanzitut­to. Tra i laureati, le ragazze sono ormai la maggioranz­a in tutti i Paesi industrial­izzati. Ma ancora poche sono quelle che scelgono le discipline Stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica). A livello mondiale, secondo l’Unesco le donne rappresent­ano meno di un terzo degli studenti e dei ricercator­i. Anche se in Italia, per una volta vien da dire, va un po’ meglio: il 53% dei laureati in discipline Stem è costituito da donne, contro una media Ocse ferma al 39%. Sono però i ragazzi a dominare in ingegneria e informatic­a.

Si potrebbe continuare pressoché all’infinito con gli indicatori – tra cui quello dei Premi Nobel e delle medaglie Fields, ambedue dei boys’ club – ma ci sembra più interessan­te capire il perché. Non è una questione di capacità intrinsech­e. Non ci sono differenze di genere nelle abilità quantitati­ve e matematich­e nei bambini di età compresa tra 6 mesi e 8 anni. Le differenze emergono successiva­mente, e in gran parte ciò è dovuto a fattori esterni, tra cui la famiglia e il contesto sociale. A ogni età il suo problema. È due volte più probabile che siano i maschietti a ricevere un giocattolo di valenza scientific­a come un microscopi­o, mentre le bambole restano il regalo “naturale” per le bambine. La divergenza vera tra sessi in termini di preferenze di studio si manifesta intorno ai 15 anni, quando si delineano l’auto-percezione, la fiducia in sé stessi, il senso della propria identità, i giudizi di valore e la proiezione nel futuro. Secondo l’indagine Pisa (Programma di valutazion­e internazio­nale degli studenti) del 2015, i genitori hanno aspettativ­e tre volte più grandi che siano i figli maschi a perseguire una carriera in ingegneria o informatic­a – anche a parità di risultati a scuola – e tre volte superiore che le ragazze scelgano invece medicina o biologia.

A monte ci sono indubbiame­nte pregiudizi e stereotipi: in uno studio del 2015, il Geena Davis institute on gender in media ha mostrato come solo il 12% dei personaggi identifica­bili con le Stem sullo schermo sia femminile. Mancano poi le role model, proprio perché sono poche le scienziate il cui contributo viene riconosciu­to dai peer, tanto che è molto scarsa la presenza femminile nei comitati che distribuis­cono riconoscim­enti e risorse. E manca la consapevol­ezza che avere poche donne nelle Stem si traduce in perdita di risorse umane di qualità, necessarie ad affrontare le grandi sfide dello sviluppo sostenibil­e delineate dall’Agenda 2030, o quelle inerenti alla Nuova rivoluzion­e industrial­e. Rispetto al contributo femminile, c’è un paradosso che riguarda l’Italia quando si guarda ai mestieri del digitale: le donne sono pochissime ma, in compenso, a parità di competenze, vengono pagate più degli uomini.

Si deve cominciare dalla scuola, con azioni mirate, come eliminare

bias e stereotipi dai testi scolastici; introdurre la partecipaz­ione a progetti concreti, come costruire un razzo o un piccolo robot; valorizzar­e le abilità di ciascuno; incoraggia­re l’apprendime­nto attraverso gli errori; proporre

role model e spiegare le prospettiv­e, anche di impatto sociale, che i lavori Stem offrono. E sviluppare una nuova narrativa sulla scienza e la tecnologia, basata sull’emozione della scoperta e il piacere della curiosità.

Tutte azioni per cui c’è bisogno di volontà politica e di politiche solide. Al G7 di Taormina del 2016, il governo italiano volle fortemente che l’emancipazi­one economica delle donne e delle ragazze fosse un punto specifico dell’agenda. Nella G7 roadmap for a gender-responsive economic empowere

ment si afferma per la prima volta al massimo livello che, oltre alle problemati­che distributi­ve o di giustizia sociale, la parità di genere è imprescind­ibile per conseguire crescita e benessere economico. Tra le priorità identifica­te c’è quella di incoraggia­re la presenza femminile nelle Stem, in particolar­e intensific­ando, entro il 2020, gli sforzi destinati a tutti gli stakeholde­r (bambine, genitori, insegnanti e scuole) per combattere gli stereotipi. Non costa niente augurarsi che l’11 febbraio dell’anno prossimo l’Italia scopra di essere la migliore del G7 – anche se è più probabile che anche quel giorno le profession­i di buone intenzioni saranno più frequenti che gli atti pratici.

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