SE L’EDITORIA SCIENTIFICA APRE ALLA SOCIETÀ
Alcune settimane fa, nel presentare i primi dati dell’andamento dell’editoria italiana nel 2018, ricordavo che l’industria del libro è, per spesa dei consumatori, la prima industria culturale del Paese. È un dato che spesso stupisce. Tra le ragioni di questa costante sottovalutazione c’è la mancata percezione della varietà delle tessere che compongono il mosaico dell’editoria libraria.
Nel dibattito pubblico il segmento più trascurato è forse quello dell’editoria scientifica, di quelle pubblicazioni, cioè, che raccolgono i migliori risultati della ricerca accademica, e non solo. Sono edizioni fondamentali per contribuire allo sviluppo stesso della ricerca, attraverso il confronto tra studiosi, ma che sempre più devono avere un compito di aprire la ricerca verso la società.
Proprio per questo doppio ruolo è un comparto dai confini in parte indefiniti. Se nella tradizione anglosassone è netta la separazione tra editoria scientifica e divulgazione, nell’Europa continentale, esiste un continuum tra i testi riservati ai soli scienziati e quelli di larghissima diffusione. Il che è tanto più vero nelle discipline umanistiche e nelle scienze sociali, nelle quali è più specializzata la nostra editoria.
Con queste cautele è possibile stimare il valore dell’editoria scientifica, per gli editori italiani, in circa 160 milioni di euro, il 90% realizzati in Italia, con una quota non trascurabile di export, se si considera la barriera linguistica. Nella gran parte dei casi, è una produzione complementare a quella didattica per l’università e quella professionale: parliamo di circa 850-900 milioni di euro, a seconda delle definizioni del perimetro.
Nel complesso dell’editoria accademico professionale quella “scientifica” rappresenta la base su cui le altre si innestano. Parlando di università è quasi un luogo comune che non può esserci buona didattica senza basi scientifiche solide, né crescita e aggiornamento professionale. Lo stesso deve dirsi quando si parla di editoria. Il valore aggiunto fornito al Paese, in termini culturali, e in particolare di cultura scientifica, del lavoro, economica, storica, giuridica, medica, politica, sociologica, tecnologica, letteraria e via elencando, è
IN UN’EPOCA CHE DIFFIDA DEL SAPERE SERVONO PONTI TRA IL PUBBLICO E LE COMPETENZE
fondamentale per la società italiana.
Un ruolo crescente in questo quadro è rappresentato dalle riviste. Una ricercacondotta dall’ Università di Verona, in collaborazione con Aie e Cineca, ha censito oltre 2.200 riviste scientifiche nelle sole aree umanistiche e delle scienze sociali, al netto di quelle edite in proprio da dipartimenti universitari e società scientifiche. Il tessuto produttivo è rappresentato da una molteplicità di piccole e medie imprese, comprese 22 University press, il cui peso è crescente. Sono ben 800 le sigle editoriali che arricchiscono la propria offerta pubblicando da 1 a 5 riviste. All’altro estremo, ve ne sono 7 che pubblicano più di 25 testate.
La gran parte di queste riviste (oltre il 90%) sono edite in digitale, associato alla carta o in via esclusiva. Ciò ha consentito lo sviluppo di modelli commerciali articolati. Al tradizionale abbonamento annuale individuale, con le conseguenti difficoltà per chi voleva acquistare un singolo fascicolo, specie se arretrato, gli editori italiani hanno aggiunto offerte “a pacchetto” per le biblioteche, direttamente o tramite aggregatori, e allo stesso tempo l’accesso per pochi euro a singoli articoli per i non abbonati.
È interessante anche la crescente produzione di riviste ad accesso aperto. Sono più di 200 (il 9% del totale), il 61% delle quali edite da editori commerciali, a testimonianza del fatto che l’open access è un dato acquisito nel panorama italiano, per quanto sia sempre difficile la ricerca della sostenibilità economica di questa formula, per la cronica mancanza di fondi destinati sia alla ricerca sia alla sua diffusione.
Se le riviste sono più semplici da censire, il ruolo dei libri, in queste discipline, rimane prevalente. È anche il terreno in cui il confine tra libro dedicato ai soli studiosi, libro professionale e libro per un pubblico più ampio è oltremodo incerto. Ed è sperabile che lo sia sempre di più, perché in un mondo che mette in discussione la competenza, che troppo spesso si affida alle pseudoscienze, sono necessari i costruttori di ponti tra i luoghi della competenza e la società. E solo un lavoro editoriale professionale, competente a sua volta, può garantirne la solidità.
Presidente dell’Associazione
Italiana Editori