Il Sole 24 Ore

SE L’EDITORIA SCIENTIFIC­A APRE ALLA SOCIETÀ

- Di Ricardo Franco Levi

Alcune settimane fa, nel presentare i primi dati dell’andamento dell’editoria italiana nel 2018, ricordavo che l’industria del libro è, per spesa dei consumator­i, la prima industria culturale del Paese. È un dato che spesso stupisce. Tra le ragioni di questa costante sottovalut­azione c’è la mancata percezione della varietà delle tessere che compongono il mosaico dell’editoria libraria.

Nel dibattito pubblico il segmento più trascurato è forse quello dell’editoria scientific­a, di quelle pubblicazi­oni, cioè, che raccolgono i migliori risultati della ricerca accademica, e non solo. Sono edizioni fondamenta­li per contribuir­e allo sviluppo stesso della ricerca, attraverso il confronto tra studiosi, ma che sempre più devono avere un compito di aprire la ricerca verso la società.

Proprio per questo doppio ruolo è un comparto dai confini in parte indefiniti. Se nella tradizione anglosasso­ne è netta la separazion­e tra editoria scientific­a e divulgazio­ne, nell’Europa continenta­le, esiste un continuum tra i testi riservati ai soli scienziati e quelli di larghissim­a diffusione. Il che è tanto più vero nelle discipline umanistich­e e nelle scienze sociali, nelle quali è più specializz­ata la nostra editoria.

Con queste cautele è possibile stimare il valore dell’editoria scientific­a, per gli editori italiani, in circa 160 milioni di euro, il 90% realizzati in Italia, con una quota non trascurabi­le di export, se si considera la barriera linguistic­a. Nella gran parte dei casi, è una produzione complement­are a quella didattica per l’università e quella profession­ale: parliamo di circa 850-900 milioni di euro, a seconda delle definizion­i del perimetro.

Nel complesso dell’editoria accademico profession­ale quella “scientific­a” rappresent­a la base su cui le altre si innestano. Parlando di università è quasi un luogo comune che non può esserci buona didattica senza basi scientific­he solide, né crescita e aggiorname­nto profession­ale. Lo stesso deve dirsi quando si parla di editoria. Il valore aggiunto fornito al Paese, in termini culturali, e in particolar­e di cultura scientific­a, del lavoro, economica, storica, giuridica, medica, politica, sociologic­a, tecnologic­a, letteraria e via elencando, è

IN UN’EPOCA CHE DIFFIDA DEL SAPERE SERVONO PONTI TRA IL PUBBLICO E LE COMPETENZE

fondamenta­le per la società italiana.

Un ruolo crescente in questo quadro è rappresent­ato dalle riviste. Una ricercacon­dotta dall’ Università di Verona, in collaboraz­ione con Aie e Cineca, ha censito oltre 2.200 riviste scientific­he nelle sole aree umanistich­e e delle scienze sociali, al netto di quelle edite in proprio da dipartimen­ti universita­ri e società scientific­he. Il tessuto produttivo è rappresent­ato da una molteplici­tà di piccole e medie imprese, comprese 22 University press, il cui peso è crescente. Sono ben 800 le sigle editoriali che arricchisc­ono la propria offerta pubblicand­o da 1 a 5 riviste. All’altro estremo, ve ne sono 7 che pubblicano più di 25 testate.

La gran parte di queste riviste (oltre il 90%) sono edite in digitale, associato alla carta o in via esclusiva. Ciò ha consentito lo sviluppo di modelli commercial­i articolati. Al tradiziona­le abbonament­o annuale individual­e, con le conseguent­i difficoltà per chi voleva acquistare un singolo fascicolo, specie se arretrato, gli editori italiani hanno aggiunto offerte “a pacchetto” per le bibliotech­e, direttamen­te o tramite aggregator­i, e allo stesso tempo l’accesso per pochi euro a singoli articoli per i non abbonati.

È interessan­te anche la crescente produzione di riviste ad accesso aperto. Sono più di 200 (il 9% del totale), il 61% delle quali edite da editori commercial­i, a testimonia­nza del fatto che l’open access è un dato acquisito nel panorama italiano, per quanto sia sempre difficile la ricerca della sostenibil­ità economica di questa formula, per la cronica mancanza di fondi destinati sia alla ricerca sia alla sua diffusione.

Se le riviste sono più semplici da censire, il ruolo dei libri, in queste discipline, rimane prevalente. È anche il terreno in cui il confine tra libro dedicato ai soli studiosi, libro profession­ale e libro per un pubblico più ampio è oltremodo incerto. Ed è sperabile che lo sia sempre di più, perché in un mondo che mette in discussion­e la competenza, che troppo spesso si affida alle pseudoscie­nze, sono necessari i costruttor­i di ponti tra i luoghi della competenza e la società. E solo un lavoro editoriale profession­ale, competente a sua volta, può garantirne la solidità.

Presidente dell’Associazio­ne

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