Honda lascia Swindon Rinuncerà a produrre automobili in Europa
Si profila il peggior colpo all’industria automobilistica britannica dai tempi (2005) del fallimento di MG Rover, che la BMW non era riuscita a rilanciare: Honda ha deciso di chiudere nel 2022 l’impianto di Swindon, che dà lavoro a 3.500 persone, con un’iniziativa che si aggiunge ad altri numerosi segnali di difficoltà per il Regno Unito a mantenere un primario ruolo manifatturiero, sempre più in crisi tra la sensazione di caos che sta accompagnando la Brexit. Potrebbe arrivare già oggi l’annuncio ufficiale dell’abbandono da parte del gruppo giapponese di uno dei simboli dell’attrattività del Made in Britain come hub produttivo per l’export.
Fu alla metà degli anni ’80 che la casa nipponica acquistò l’area di un ex campo di aviazione nel Wiltshire, a ovest di Londra, per farne il centro della sua produzione in Europa: l’anno scorso da Swindon - hub globale per la produzione di Civic e CV-R, esportate in 70 Paesi - sono uscite oltre 150mila auto, pari a circa il 10% dell’intera produzione automobilistica britannica, ma ben sotto la potenziale capacità dell’impianto.
Paradossalmente, però, i Brexiters potrebbero cercare di colpevolizzare l’Europa anche per il triste destino di Swindon, che rappresenta l’unico impianto integrato di Honda in Europa: non ci sarà infatti un rilevante spostamento di attività nel continente, in quanto la produzione del gruppo sarà consolidata in Giappone.
Con l’entrata in vigore il primo febbraio scorso dell’accordo di libero scambio (Fta) tra la Ue e Tokyo, i dazi del 10% all’import dal Sol Levante saranno progressivamente ridotti a zero nell’arco di un decennio. Così nelle pianificazioni a medio-lungo termine delle case nipponiche finisce per risultare meno necessario un presidio manifatturiero in Europa, la regione dove storicamente fanno meno profitti quando non accusano perdite. Cancellando i piani per produrre a Swindon l’undicesima generazione di Civic dall’inizio del prossimo decennio, Honda diventa la prima casa nipponica a manifestare la tendenza a un disimpegno sul versante della manifattura non sono dal Regno Unito ma dall’Europa. Tanto più che in prospettiva rischierebbe di pagare dazi nella Ue su auto prodotte a Swindon e non a Suzuka o a Saitama. Altre società sembrano più specificamente allarmate dalla Brexit, che comunque nei mesi scorsi era stata citata da Honda come un grave problema in grado di ridurre la competitività di Swindon.
Nissan ha annunciato che non produrrà più il nuovo Suv X-Trail a Sunderland, contrariamente a quanto promesso in seguito a garanzie e incentivi governativi post-Brexit, mentre Toyota ha avvertito che potrà esser costretta a sospendere la produzione nel Regno Unito. Una sospensione preannunciata da BMW per la Mini, mentre tagli permanenti sono stati già resi noti da Ford e Jaguar Land Rover. Anche in altri settori si è manifestata l’irritazione giapponese per Brexit: Sony e Panasonic hanno deciso di spostare il loro quartier generale europeo in Olanda. Una irritazione che coinvolge il governo del premier Abe, che fin dai tempi del referendum era sceso in campo contro la Brexit considerandola un tradimento per chi aveva fatto investimenti diretti nel Regno Unito come hub per l’Europa.
Da ultimo, gli sforzi di Londra per concludere un accordo di libero scambio con Tokyo per il post-Brexit sembrano essersi complicati per le maldestre pressioni a «fare in fretta» espresse dal ministro degli Esteri Jeremy Hunt e da quello del commercio Liam Fox. Intanto Des Quinn, responsabile di settore per il sindacato Unite, ha dichiarato che «l’industria dell’auto è stata negli ultimi due decenni il gioiello della corona dell’intero settore manifatturiero»: ora sta pagando la «caotica incertezza sulla Brexit» causata dal rigido approccio governativo.