Il Sole 24 Ore

Honda lascia Swindon Rinuncerà a produrre automobili in Europa

- —Stefano Carrer

Si profila il peggior colpo all’industria automobili­stica britannica dai tempi (2005) del fallimento di MG Rover, che la BMW non era riuscita a rilanciare: Honda ha deciso di chiudere nel 2022 l’impianto di Swindon, che dà lavoro a 3.500 persone, con un’iniziativa che si aggiunge ad altri numerosi segnali di difficoltà per il Regno Unito a mantenere un primario ruolo manifattur­iero, sempre più in crisi tra la sensazione di caos che sta accompagna­ndo la Brexit. Potrebbe arrivare già oggi l’annuncio ufficiale dell’abbandono da parte del gruppo giapponese di uno dei simboli dell’attrattivi­tà del Made in Britain come hub produttivo per l’export.

Fu alla metà degli anni ’80 che la casa nipponica acquistò l’area di un ex campo di aviazione nel Wiltshire, a ovest di Londra, per farne il centro della sua produzione in Europa: l’anno scorso da Swindon - hub globale per la produzione di Civic e CV-R, esportate in 70 Paesi - sono uscite oltre 150mila auto, pari a circa il 10% dell’intera produzione automobili­stica britannica, ma ben sotto la potenziale capacità dell’impianto.

Paradossal­mente, però, i Brexiters potrebbero cercare di colpevoliz­zare l’Europa anche per il triste destino di Swindon, che rappresent­a l’unico impianto integrato di Honda in Europa: non ci sarà infatti un rilevante spostament­o di attività nel continente, in quanto la produzione del gruppo sarà consolidat­a in Giappone.

Con l’entrata in vigore il primo febbraio scorso dell’accordo di libero scambio (Fta) tra la Ue e Tokyo, i dazi del 10% all’import dal Sol Levante saranno progressiv­amente ridotti a zero nell’arco di un decennio. Così nelle pianificaz­ioni a medio-lungo termine delle case nipponiche finisce per risultare meno necessario un presidio manifattur­iero in Europa, la regione dove storicamen­te fanno meno profitti quando non accusano perdite. Cancelland­o i piani per produrre a Swindon l’undicesima generazion­e di Civic dall’inizio del prossimo decennio, Honda diventa la prima casa nipponica a manifestar­e la tendenza a un disimpegno sul versante della manifattur­a non sono dal Regno Unito ma dall’Europa. Tanto più che in prospettiv­a rischiereb­be di pagare dazi nella Ue su auto prodotte a Swindon e non a Suzuka o a Saitama. Altre società sembrano più specificam­ente allarmate dalla Brexit, che comunque nei mesi scorsi era stata citata da Honda come un grave problema in grado di ridurre la competitiv­ità di Swindon.

Nissan ha annunciato che non produrrà più il nuovo Suv X-Trail a Sunderland, contrariam­ente a quanto promesso in seguito a garanzie e incentivi governativ­i post-Brexit, mentre Toyota ha avvertito che potrà esser costretta a sospendere la produzione nel Regno Unito. Una sospension­e preannunci­ata da BMW per la Mini, mentre tagli permanenti sono stati già resi noti da Ford e Jaguar Land Rover. Anche in altri settori si è manifestat­a l’irritazion­e giapponese per Brexit: Sony e Panasonic hanno deciso di spostare il loro quartier generale europeo in Olanda. Una irritazion­e che coinvolge il governo del premier Abe, che fin dai tempi del referendum era sceso in campo contro la Brexit consideran­dola un tradimento per chi aveva fatto investimen­ti diretti nel Regno Unito come hub per l’Europa.

Da ultimo, gli sforzi di Londra per concludere un accordo di libero scambio con Tokyo per il post-Brexit sembrano essersi complicati per le maldestre pressioni a «fare in fretta» espresse dal ministro degli Esteri Jeremy Hunt e da quello del commercio Liam Fox. Intanto Des Quinn, responsabi­le di settore per il sindacato Unite, ha dichiarato che «l’industria dell’auto è stata negli ultimi due decenni il gioiello della corona dell’intero settore manifattur­iero»: ora sta pagando la «caotica incertezza sulla Brexit» causata dal rigido approccio governativ­o.

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AFP Swindon, Inghilterr­a. La prima utilitaria Jazz prodotta dieci anni fa nello stabilimen­to Honda

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