Omicidi stradali, condanna con revoca della patente
Per la Cassazione il giudice non può decidere se sospendere il documento Da oggi la Consulta valuta prevalenza delle aggravanti e divieto di nuova licenza
Oggi e domani la legge sull’omicidio stradale approda alla Corte costituzionale. Nell’udienza pubblica di oggi e nella camera di consiglio di domani, i giudici della Consulta valuteranno la legge 41/16 a quasi tre anni dalla sua entrata in vigore, per rispondere a quattro questioni di legittimità costituzionale. Intanto, la Cassazione continua a chiarirne ulteriori aspetti.
La Consulta
La prima questione, sollevata dal Gup di Roma e dal Tribunale di Torino, riguarda il divieto di prevalenza e di equivalenza dell’attenuante per concorso di colpa sulle aggravanti specifiche (alcol, droga e le altre infrazioni stradali che fanno scattare pene più severe). La seconda, sollevata dai Tribunale di Forlì e Torino, è sulla revoca automatica della patente con divieto di conseguirne un’altra per cinque anni.
La Cassazione
Intanto la Cassazione ha stabilito che la sanzione amministrativa accessoria a una sentenza di condanna, o patteggiamento, per omicidio stradale o lesioni stradali gravi e gravissime, è solo la revoca della patente di guida, non commisurabile e disposta dal giudice penale. Non va confusa con l’inibizione al conseguimento di una nuova patente, misura inflitta dal prefetto una volta che la sentenza penale è passata in giudicato con durata diversa a seconda della tipologia di reato stradale accertato, in base agli scaglioni previsti dall’articolo 222, comma 3, del Codice della Strada. Lo ha stabilito la Cassazione, con la sentenza 1791/2019. La pronuncia mette alcuni punti fermi sulle conseguenze per la patente di chi causa un incidente con morti o feriti gravi. La Corte prima di tutto esclude - in linea con un suo recente precedente (si veda il Sole 24 Ore del 1° agosto 2018) - che il giudice penale possa scegliere discrezionalmente se applicare, con la sentenza di condanna o patteggiamento, la revoca o la sospensione della patente. Precisazione necessaria perché la riformulazione dell’articolo 222 a opera della legge 41/16 (nota per aver introdotto l’omicidio stradale) in assenza di norme transitorie lasciava ampi margini d’incertezza applicativa.
Ora la Cassazione ha definitivamente sancito che, nei casi di omicidio stradale e lesioni stradali gravi o gravissime successivi al 26 marzo 2016 - data di entrata in vigore della legge 41 - la sanzione accessoria è sempre la revoca della patente, che opera anche in caso di concessione della sospensione condizionale della pena e non può subire riduzioni in caso di patteggiamento. Diversamente, per il reato di omicidio colposo commesso prima del 26 marzo 2016 - e per gli altri reati stradali che causano danni a persone, come il divieto di gareggiare in velocità, di cui all’articolo 9 ter, comma 2, del Codice della strada - la sanzione accessoria rimane quella della sospensione della patente fino a quattro anni, diminuibile fino a un terzo in caso di patteggiamento.
La Corte, nel contempo, spiega che non è compito del giudice individuare il periodo d’inibizione alla guida, bensì del prefetto del luogo ove è stato commesso il fatto, che – dopo avere ricevuto dalla cancelleria la sentenza penale irrevocabile - emette ordinanza motivata, ricorribile entro 30 giorni al giudice di pace, individuando il periodo di inibizione all’interno delle cornici edittali previste dall’articolo 222.
Con la successiva sentenza n. 2618/19, la Cassazione ha poi spiegato che il periodo di prescrizione delle sanzioni accessorie all’accertamento di un reato stradale, è diverso – e ben più lungo - di quello che deriva da una violazione amministrativa del Codice della strada (come un eccesso di velocità). Nel primo caso la prescrizione della sanzione accessoria è pari a quella del reato ed è soggetta agli stessi periodi di interruzione e sospensione. Nel secondo caso è di cinque anni dalla data dell’infrazione. Non è una differenza da poco, se si considera che, oggi, la prescrizione dell’omicidio stradale nei casi più gravi può superare 20 anni e che dal 1° gennaio 2020, quando sarà efficace la modifica in materia di prescrizione introdotta dalla legge 3/19 (cosiddetta spazzacorrotti), si congelerà definitivamente dopo la sentenza di primo grado. In questi casi la revoca della patente, con contestuale inibizione alla guida fino a 30 anni, è una conseguenza praticamente inevitabile, anche se la condanna penale arriva dopo vent’anni dal fatto e nel frattempo l’interessato ha continuato a guidare senza problemi. C’è un’unica eccezione: il termine breve di 5 anni, spiega la Corte, si applica quando il reato si estingue per una causa diversa dalla morte del reo, ad esempio per esito positivo della “messa alla prova”, perché in tali casi è il prefetto che procede all’accertamento della sussistenza delle condizioni per l’applicazione della sanzione accessoria. Ma questi riti alternativi sono preclusi per le ipotesi aggravate di omicidio e lesioni stradali.