Lo spread trema dopo i dati Istat, ma poi torna sui livelli di lunedì
Ormai il mercato ritiene sempre più probabile un intervento della Bce
In certi casi è proprio vero: il mal comune è mezzo gaudio. Perché in un contesto economico europeo negativo, nel quale spicca la debàcle industriale italiana, è lecito aspettarsi che presto o tardi la Bce batta un colpo. Così ieri anche i dati sul fatturato delle imprese italiane e sugli ordinativi non hanno pesato più di tanto sui titoli di Stato e sulla Borsa del nostro Paese: perché hanno rafforzato negli investitori la convinzione che la Bce non potrà restare con le mani in mano. Già pochi giorni fa Benoit Coeuré, membro del board Bce, aveva aperto uno spiraglio: aveva infatti ammesso che la Banca centrale potrebbe riavviare i finanziamenti agevolati alle banche (Tltro). Fitch è andata anche oltre: ha esplicitamente previsto che presto o tardi la Bce tornerà a considerare la riapertura del quantitative easing. È così che il «male comune» economico si trasforma in nuovo «gaudio» per gli investitorifinanziari: perché ognidato congiunturale negativo è percepito come l’anticamera di nuovi stimoli monetari. Di nuovo denaro facile. Manna per i mercati.
Così i due dati congiunturali negativi, usciti in Italia alle 10 del mattino, hanno avuto effetto per poco tempo. Se si guardano i movimenti dei mercati di breve periodo, l’impatto c’è state eccome. Ma nell’arco della giornata è stato quasi nullo. Lo spread tra i BTp e i Bund è passato da 262 punti base delle 9,25 (prima dei dati economici) a 274 punti base delle 10,30. Poi, però, ha chiuso la giornata a quota 268: in fondo solo 2 centesimi di punto percentuale in più di lunedì. Bazzecole. Il rendimento dei BTp decennali è salito da 2,75% pre-dati a 2,83% (con un conseguente calo dei prezzi), ma alla fine ha chiuso la seduta a 2,78%. Idem per il mercato azionario: Piazza Affari tra il massimo delle 9,21 e il minimo delle 10,22 ha perso l’1,16%, ma alla fine della giornata il saldo rispetto a lunedì è stato di -0,50%. Performance peggiore rispetto alla maggioranza delle altre Borse europee (-0,16% Parigi, +0,09% Francoforte, -0,21% Madrid), ma nulla di che.
Eppure i dati economici usciti alle 10 avrebbero potuto preoccupare gli investitori molto di più, perché confermano la strada discendente imboccata dall’economia italiana. «A impensierire è soprattutto il dettaglio di questi indicatori - osserva un economista -. I dati mostrano per esempio una frenata forte dei beni strumentali: questo conferma che il ciclo degli investimenti si è inceppato». A far pensare è anche il fatto che la frenata del fatturato è dovuta sia all’export (dunque a un elemento internazionale), sia al contributo interno (dunque italiano). Ma il problema vero è un altro: questi dati, insieme agli ultimi usciti nelle settimane scorse, sono coerenti con un Pil in negativo anche nel primo trimestre del 2019. Questo è il punto: l’Italia non mostra segnali di uscita dalla recessione. Tutta Europa rallenta, vero, ma l’Italia molto di più. Il «mal comune» da noi fa più male insomma.
Questo avrebbe potuto far tornare negli investitori la preoccupazione per il debito italiano. O forse anche per il deficit, sebbene il calo del Pil non abbia un impatto su quello strutturale. Un elemento positivo è arrivato dalla risoluzione del caso Salvini-Diciotti, certo, ma in altri tempi dati economici così negativi avrebbero forse pesato di più sui mercati. Non l’hanno fatto. Ora sta alla Bce dire o meno se il «mezzo gaudio» dimostrato dagli investitori sia giustificato o no.