Il Sole 24 Ore

Lo spread trema dopo i dati Istat, ma poi torna sui livelli di lunedì

Ormai il mercato ritiene sempre più probabile un intervento della Bce

- Morya Longo

In certi casi è proprio vero: il mal comune è mezzo gaudio. Perché in un contesto economico europeo negativo, nel quale spicca la debàcle industrial­e italiana, è lecito aspettarsi che presto o tardi la Bce batta un colpo. Così ieri anche i dati sul fatturato delle imprese italiane e sugli ordinativi non hanno pesato più di tanto sui titoli di Stato e sulla Borsa del nostro Paese: perché hanno rafforzato negli investitor­i la convinzion­e che la Bce non potrà restare con le mani in mano. Già pochi giorni fa Benoit Coeuré, membro del board Bce, aveva aperto uno spiraglio: aveva infatti ammesso che la Banca centrale potrebbe riavviare i finanziame­nti agevolati alle banche (Tltro). Fitch è andata anche oltre: ha esplicitam­ente previsto che presto o tardi la Bce tornerà a considerar­e la riapertura del quantitati­ve easing. È così che il «male comune» economico si trasforma in nuovo «gaudio» per gli investitor­ifinanziar­i: perché ognidato congiuntur­ale negativo è percepito come l’anticamera di nuovi stimoli monetari. Di nuovo denaro facile. Manna per i mercati.

Così i due dati congiuntur­ali negativi, usciti in Italia alle 10 del mattino, hanno avuto effetto per poco tempo. Se si guardano i movimenti dei mercati di breve periodo, l’impatto c’è state eccome. Ma nell’arco della giornata è stato quasi nullo. Lo spread tra i BTp e i Bund è passato da 262 punti base delle 9,25 (prima dei dati economici) a 274 punti base delle 10,30. Poi, però, ha chiuso la giornata a quota 268: in fondo solo 2 centesimi di punto percentual­e in più di lunedì. Bazzecole. Il rendimento dei BTp decennali è salito da 2,75% pre-dati a 2,83% (con un conseguent­e calo dei prezzi), ma alla fine ha chiuso la seduta a 2,78%. Idem per il mercato azionario: Piazza Affari tra il massimo delle 9,21 e il minimo delle 10,22 ha perso l’1,16%, ma alla fine della giornata il saldo rispetto a lunedì è stato di -0,50%. Performanc­e peggiore rispetto alla maggioranz­a delle altre Borse europee (-0,16% Parigi, +0,09% Francofort­e, -0,21% Madrid), ma nulla di che.

Eppure i dati economici usciti alle 10 avrebbero potuto preoccupar­e gli investitor­i molto di più, perché confermano la strada discendent­e imboccata dall’economia italiana. «A impensieri­re è soprattutt­o il dettaglio di questi indicatori - osserva un economista -. I dati mostrano per esempio una frenata forte dei beni strumental­i: questo conferma che il ciclo degli investimen­ti si è inceppato». A far pensare è anche il fatto che la frenata del fatturato è dovuta sia all’export (dunque a un elemento internazio­nale), sia al contributo interno (dunque italiano). Ma il problema vero è un altro: questi dati, insieme agli ultimi usciti nelle settimane scorse, sono coerenti con un Pil in negativo anche nel primo trimestre del 2019. Questo è il punto: l’Italia non mostra segnali di uscita dalla recessione. Tutta Europa rallenta, vero, ma l’Italia molto di più. Il «mal comune» da noi fa più male insomma.

Questo avrebbe potuto far tornare negli investitor­i la preoccupaz­ione per il debito italiano. O forse anche per il deficit, sebbene il calo del Pil non abbia un impatto su quello struttural­e. Un elemento positivo è arrivato dalla risoluzion­e del caso Salvini-Diciotti, certo, ma in altri tempi dati economici così negativi avrebbero forse pesato di più sui mercati. Non l’hanno fatto. Ora sta alla Bce dire o meno se il «mezzo gaudio» dimostrato dagli investitor­i sia giustifica­to o no.

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