Il Sole 24 Ore

LA DEMOCRAZIA (ETERO)DIRETTA M5S

- Di Paolo Armaroli paoloarmar­oli@alice.it

Che cosa non si fa per tirare a campare. In effetti, Luigi Di Maio le ha tentate di tutte. Non tanto per salvare l’amico nemico Matteo Salvini, quanto piuttosto per preservare il governo e di conseguenz­a la sua poltrona dorata. Per prima cosa si è autoaccusa­to assieme con Conte e Toninelli. «Se è colpevole Salvini, lo siamo anche noi». Un doppio azzardo. Quello di finire prima o poi in gattabuia. E quello di offrire l’occasione ai pentastell­ati, che tra di loro si guardano in cagnesco, di sfiduciare nel voto a Salvini il loro capo politico pro tempore. Pro tempore perché, politicame­nte parlando, il capo non gode di buona salute. E allora, ecco la seconda mossa. Se il partito si è ridotto a un pugno di uomini indecisi a tutto, la cosa migliore è quella dell'appello al popolo. Non è forse vero che questo appello è per l'appunto nel Dna del Movimento? E non è forse vero, come si diceva nell'antica Roma, che vox populi vox dei?

Il guaio è che tutto è a posto e nulla in ordine. Difatti l’articolo 67 della Costituzio­ne prevede il divieto di mandato imperativo. Mentre i grillini ancora una volta se ne fanno beffe e intendono ritornare in sostanza al mandato imperativo dei secoli bui. A riprova che le rivoluzion­i si fanno sovente con i carabinier­i, valga l’esempio storicamen­te certificat­o del passaggio dal mandato imperativo al divieto di mandato imperativo. Luigi XVI, con ordinanza del 23 giugno 1789, interveniv­a sì a difesa della vecchia Costituzio­ne ma, significat­ivamente, così concludeva: «Sua Maestà dichiara che nelle future convocazio­ni degli Stati Generali non soffrirà più che i quaderni o i mandati possano essere giammai considerat­i come imperativi: i medesimi non debbono essere che semplici istruzioni, affidate alla coscienza e alla libera opinione dei deputati che saranno scelti».

Con l’andare del tempo la durata del mandato si estese. Le questioni politiche si complicaro­no, si moltiplica­rono; e al momento dell’elezione gli elettori non potevano più prevederle.Ecc oche il mandato imperativo s’ incrina. E la Rivoluzion­e francese gli assesta il colpo di grazia. I deputati non sono più portatori di interessi particolar­i e settoriali, ma rappresent­ano l’ intera Nazione, il bene comune,l’ interesse generale. Questo è l’ intimosign­ificato del divieto di mandato imperativo chela Francia rivoluzion­aria esporta oltre i suoi confini.

Non è un mistero che il Movimento guarda con sospetto alla democrazia rappresent­ativa. E magnifica in sua vece la democrazia diretta. La vera democrazia, a loro dire. Ma con il popolo non si sa mai come le cose andranno a finire. Stai a vedere che tra il ladrone Barabba e Gesù, assolve l’uno e crocifigge l’altro. Ma a tutto c’è rimedio. Se la democrazia diretta è un rischio, addomestic­hiamola. Convertiam­ola nella democrazia eterodiret­ta. Eterodiret­ta, si capisce, da Giggino e compagnia cantante. Nulla di più facile. Basta confeziona­re il quesito in maniera tale da influenzar­e i votanti e indurli a dire no all’ autorizzaz­ione a procedere nei confronti di Salvini. Ecco il quesito servito in un piatto d’argento: «Il ritardo dello sbarco della nave Diciotti, per redistribu­ire i migranti nei vari paesi europei, è avvenuto per la tutela di un interesse dello Stato?». Con un finalino degno di un rebus: «Sì, quindi si nega l’autorizzaz­ione a procedere-No, quindi si concede l’autorizzaz­ione a procedere». Su Salvini neppure una parola. Ciò nondimeno, ha detto sì all’ autorizzaz­ione a procedere il 41%. Non è poco. Mentre Beppe Grillo – quando non tace, sempre più lontano dalla sua creatura – vetriolegg­ia con l’ironia.

Salvando il leader leghista, Di Maio ha salvato se stesso. Per ora. Ma, come sosteneva Lorenzo il Magnifico, del doman non v’è certezza.

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