Latte, sì da Bruxelles ai soldi del governo
Dimesso il presidente del Consorzio del pecorino Domani nuovo incontro Auricchio: i 72 centesimi al litro di acconto non sono più negoziabili
Si preannuncia un vertice difficile, quello di domani a Roma, tra i pastori sardi, il governo e le imprese produttrici del pecorino. La bozza ipotizzata sabato scorso a Cagliari - 72 centesimi al litro di acconto, più 49 milioni di euro di fondi pubblici - per la quale i pastori si erano presi tre giorni di tempo, ha già incassato la bocciatura di 500 di loro riunitisi ieri in assemblea a Tramatza, in provincia di Oristano. Sempre ieri si è dimesso Salvatore Palitta, presidente del Consorzio di tutela del Pecorino romano. L’unica buona notizia, sulla roadmap del difficile accordo per il latte sardo, è arrivata da Bruxelles, dove il ministro dell’Agricoltura, Gian Marco Centinaio, ha incontrato il Commissiario Ue Phil Hogan e ha incassato il prezioso ok ai fondi di governo e regione - 49 milioni di euro in tutto - messi sul piatto per togliere dal mercato le forme di pecorino in eccesso e quindi aumentarne il prezzo al chilo. L’intervento, ha assicurato il Commissario, non si configura come aiuto di stato. Hogan ha poi confermato l’invio di funzionari Ue in Sardegna per coinvolgere il Consorzio nei programmi Ue.
Gli allevatori riuniti in assemblea spontanea dell’Oristanese si firmano Movimento dei pastori sardi e chiedono 80 centesimi al litro subito, più la garanzia stringente che il prezzo del latte raggiunga un euro entro la fine della staglioni. Su valori simili si era espressa anche la Coldiretti già durante il primo incontro a tre governo-imprese-pastori, quello di San Valentino, al Viminale.
Le imprese, invece, dopo l’offerta di sabato scorso, escludono qualsiasi altro margine di oscillazione sul prezzo: 72 centesimi di anticipo sono la loro ultima offerta. «A Roma domani siamo solo disponibili a discutere di riorganizzazione della filiera, ma non di prezzi» assicura Antonio Auricchio, vicepresidente di Assolatte, che per la sua associazione di settore ha seguito fin dall’inizio le trattative. I 72 centesimi offerti dalle imprese costituiscono un acconto: quando il prezzo del pecorino romano al chilo salirà per effetto del ritiro dal mercato delle forme in eccesso, i produttori procederanno al saldo e la cifra riconosciuta per ogni litro di latte potrà salire. «Ci sono stati anni - ricorda Auricchio - in cui siamo partiti da 70 centesimi al litro di acconto e poi siamo arrivati a pagare il latte anche 1,10 euro al litro».
Se dunque per i produttori al tavolo il prezzo non si tocca, qualcosa può invece essere fatto sul fronte della riorganizzazione della produzione e sulla tutela dei falsi: «Al ministro Centinaio - spiega Auricchio - ho chiesto che venga intensificata la lotta all’Italian sounding: negli Stati Uniti, per esempio, si trova ancora troppo Romano Cheese. È ovvio che se non ci fossero così tante imitazioni, noi potremmo vendere più pecorino romano anche all’estero, con un effetto benefico anche sull’aumento dei prezzi del formaggio al chilo». L’altro aspetto su cui si può lavorare, dicono gli impreditori, è quello del controllo della produzione: si fissano le quote annuali e chi le sfora paga, come si fa col Grana Padano e il Parmigiano Reggiano.
Anche il Consorzio del Pecorino Romano aveva fissato le quote: 280mila quintali per il 2018. Peccato che si è sforato a 340mila. Così gli allevatori hanno puntato il dito contro il Consorzio. La Coldiretti ne ha chiesto il commissariamento per mano di un magistrato antimafia. L’Antitrust ha avviato un’istruttoria per verificare se c’è stato un cartello di imprese per imporre agli allevatori un prezzo di cessione del latte sotto i costi medi di produzione. E alla fine ieri sono arrivate le dimissioni del presidente del Cosorzio, Salvatore Palitta, il cui mandato - ricorda lui stesso in un post su Facebook - sarebbe comunque scaduto il 22 di febbario. «Aspettiamo di conoscere le motivazioni per cui si è dimesso -ha commentato ieri il ministro Centinaio - noi intanto andiamo avanti con il nostro piano di nominare un prefetto che guardi quanto è accaduto in tutta la filiera e poi andremo a vedere il lavoro del consorzio».
Soddisfatta invece la Coldiretti: «Ora che si è dimesso gli industriali colgano la nuova offerta dei pastori. Le sue dimissioni evidenziano il fallimento dell’attuale gestione del Consorzio, che va ripensato con l’ingresso nell’amministrazione dei pastori ai quali vanno assegnate le quote di produzione».
I soldi pubblici