Bruxelles divisa tra liberisti e interventisti
Cresce la volontà di arginare i colossi degli altri Paesi sussidiati dallo Stato
È con cautela che l’establishment comunitario sta riflettendo alla proposta di Francia e Germania di mettere a punto una nuova strategia industriale europea in un contesto economico segnato da minacce protezionistiche così come dalla presenza crescente di imprese sussidiate dallo Stato provenienti da Paesi emergenti.
Il dibattito è aperto, l’esito di questa discussione è tutt’altro che chiaro, tanto più mentre il Regno Unito si appresta a lasciare l'Unione.
Nel loro documento di ieri, Parigi e Berlino hanno confermato quanto anticipato la settimana scorsa sulla scia della controversa decisione di Bruxelles di bocciare il progetto di fusione tra Siemens e Alstom.
La strategia franco-tedesca prevede un forte investimento in tecnologia; una revisione delle regole antitrust, dando un diritto d'appello al Consiglio sulle decisioni della Commissione europea per facilitare la creazione di campioni europei; e una modernizzazione delle difese commerciali (si veda l’articolo in questa pagina).
L’iniziativa franco-tedesca si inserisce in uno storico dibattito europeo tra interventisti e liberisti in campo economico. L’idea di creare campioni nazionali ed europei piace ai Paesi del Sud Europa, come l’Italia per esempio. È assai meno popolare nei Paesi del Nord Europa, in particolare la Scandinavia, preoccupati all’idea di indebolire il mercato unico, la libera e leale concorrenza, e di dover fare i conti con grandi imprese di vicini europei drogate dalla mano pubblica.
«Quando si parla di concorrenza – ha commentato ieri a Berlino il capo-economista della Banca centrale europea Peter Praet – è difficile parlare di vincitori e di perdenti in termini generali (…) Sarebbe ingenuo ignorare l'impatto di reti industriali, l’impatto negli Stati Uniti di importanti aggregazioni che non sono veramente efficienti». Il banchiere centrale ha poi avvertito che non è chiaro se campioni europei siano «una buona cosa o una cattiva cosa».
«Siamo sicuri che debba essere riformato il diritto alla concorrenza?», si era chiesto martedì scorso a Strasburgo il vice presidente della Commissione europea Jyrki Katainen (si veda Il Sole-24 ore del 13 febbraio). «Capisco le preoccupazioni di Francia e Germania dinanzi alla concorrenza di società cinesi che potrebbero essere sussidiate dallo Stato. Ma attenzione a non modificare le regole a tal punto da ridurre la concorrenza, provocando un aumento dei prezzi e un calo della qualità».
La presa di posizione potrebbe essere in fin dei conti quella dei Paesi potenzialmente critici dell’iniziativa franco-tedesca.
Vi è certamente il desiderio diffuso di contrastare la concorrenza sleale di imprese di Paesi emergenti, che forti del sussidio statale, hanno enormi vantaggi nell’investire o nel vendere sottocosto in Europa. Non per altro, in questi anni Bruxelles ha rafforzato le misure di difesa commerciale e di controllo degli investimenti provenienti da Paesi terzi. Si deve presumere che l’Olanda e altri Paesi del Nord Europa sostengano quindi il principio della reciprocità con i Paesi emergenti, per esempio nella partecipazione agli appalti pubblici. Al tempo stesso, non vorranno modifiche sostanziali al diritto della concorrenza.
Per questi Paesi, spesso importanti esportatori, le regole antitrust sono essenziali per difendere le loro piccole e medie imprese e l’integrità del mercato unico. Dinanzi alla prossima uscita del Regno Unito dall’Unione, i Paesi più liberisti perderanno un alleato. Nel nuovo dibattito si vorranno combattivi e influenti.