Il Sole 24 Ore

DEI DELITTI (FISCALI) E DEI CONDONI

- Di Enrico De Mita

La pratica dei condoni tributari è diventata l’espression­e più grande delle contraddiz­ioni nelle quali vive questo nostro Paese: da una parte i sacri principi, dall’altra la prassi che li contraddic­e. C’è stata una riforma tributaria che ha ribadito i principi costituzio­nali di legalità, di uguaglianz­a e di capacità contributi­va. La riforma era stata fatta per riportare il fenomeno tributario «nell’alveo della legalità» e superare le sperequazi­oni.

Il condono è un istituto con il quale lo Stato rinuncia alla sua pretesa fiscale posta da leggi tributarie già approvate. Pur essendo anch’esso approvato per legge, è la smentita di leggi precedenti che non trova nessun fondamento nella Costituzio­ne. È una violazione grave degli articoli 3, 23 e 53 della Costituzio­ne, tanto più grave perché non può essere portata davanti alla Corte da coloro che non se ne giovano e pertanto non sono legittimat­i a sollevare questione di legittimit­à costituzio­nale.

Con la riforma fu soppresso il concordato come istituto contrario alla legalità dell’imposizion­e e all’indisponib­ilità dell’obbligazio­ne tributaria. Le cose non cambiano quando la rinuncia alla pretesa tributaria viene fatta in linea generalizz­ata con il condono.

Gli scopi che si perseguono sono l’eliminazio­ne delle controvers­ie e il conseguime­nto di un certo gettito, obiettivi che dovrebbero essere perseguiti mediante gli strumenti ordinari della politica tributaria.

Con il condono una parte dei cittadini rimane assoggetta­ta al regime ordinario delle imposte e una parte a una sorta di regime agevolato che premia chi ha avuto capacità di resistere al Fisco, violando la legge, e aprendo un contenzios­o a volte pretestuos­o. Viene punito non solo chi ha ritenuto di fare il proprio dovere, ma anche e soprattutt­o chi, come i lavoratori dipendenti, non aveva neppure la scelta tra il rispetto delle regole e la mancanza di collaboraz­ione con il Fisco.

Per tutte queste ragioni non c’è nessuno che difende il condono in linea di principio. Ma nella pratica tutti lo aspettano. Lo aspetta il Governo, alle prese con i problemi della finanza pubblica e incapace della lotta all’evasione. Lo aspettano i parlamenta­ri, alle prese con i problemi della rielezione, anche quelli che pontifican­o sui diritti costituzio­nali. Lo aspettano i contribuen­ti o, per lo meno, la maggior parte di essi. Lo aspettano i profession­isti che si riprometto­no un aumento del proprio lavoro: il condono è la soluzione ideale per molti infortuni profession­ali e apre la prospettiv­a di un grosso contenzios­o, come l’esperienza insegna.

Il condono gode di fortuna anche presso la nostra giurisprud­enza costituzio­nale che ne difende lo scopo – maggior gettito rispetto all’evasione – e anche la discrimina­zione quando questa è funzionale alle pubbliche entrate e alla politica economica. Le sanatorie sono state giustifica­te per il passaggio da un regime tributario a un altro: riforma tributaria, manette agli evasori, indici di reddittivi­tà. Sanatorie foriere, forse, di un qualche gettito che non solo violano i principi fondamenta­li del diritto tributario costituzio­nale, ma convincera­nno una volta per tutte i contribuen­ti onesti che non vale la pena osservare gli obblighi tributari. Tanto, un condono prima o poi arriva.

Smentite le leggi. Gli obiettivi di ottenere gettito e ridurre le liti vanno perseguiti in via ordinaria

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