Money transfer, tassa ancora inapplicabile
Il termine per emanare il provvedimento è scaduto il 18 febbraio
Come per l’imposta di bollo sulle rimesse estere, attuata nel 2011 e mai acquisita nelle casse dello Stato fino alla sua abrogazione, la tassa sui money transfer, istituita a decorrere dal 1° gennaio 2019, non potrà essere riscossa e versata finché non saranno emanati i provvedimenti sulla riscossione, d’intesa con l’agenzia delle Entrate e la Banca d’Italia, il cui termine ordinatorio è scaduto lunedì 18 febbraio.
Gli istituti di pagamento non sono infatti, a questi fini, né agenti della riscossione né sostituti d’imposta in base all’articolo 64 del Dpr 600/73 e quindi non obbligati alla rivalsa e al successivo versamento all’Erario dell’imposta trattenuta. Ne conseguirebbe, in mancanza del provvedimento, non solo che i soggetti potrebbero essere confusi o scambiati fra loro, come paventato anche dal Centro studi di Camera e Senato, ma che il mancato diritto di regresso violerebbe, di fatto, il divieto di doppia tassazione in base allo stesso presupposto.
Detto questo, ad oggi gli istituti di pagamento non possono che essere relegati nella categoria dei cosiddetti «agenti contabili» destinatari, nella qualità di delegati, di oneri meramente strumentali all’esazione di questa imposta, ritrovandosi semmai nella stessa condizione dei gestori della riscossione dell’imposta di soggiorno.
Con riferimento all’esclusione da questa imposta delle transazioni commerciali, è appena il caso di evidenziare che si tratterebbe di operazioni del tutto marginali e per lo più non poste in essere dagli istituti di pagamento. Tuttavia, a vantaggio della certezza, vale la pena trattenere la locuzione «transazione commerciale» nel recinto del termine giuridico utilizzato nel Dlgs 231/2002 (Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali) dove si stabilisce che per «transazioni commerciali» si intendono i contratti, comunque denominati, esclusivamente tra imprese. Questo per evitare la difficile gestione circa la prova di transazioni commerciali solo indirette, laddove la rimessa fatta da un cittadino straniero abbia come destinazione un altro soggetto che utilizzerebbe la valuta per un’operazione di acquisto. Ma anche sotto il profilo soggettivo, la norma ha bisogno di essere chiarita, posto che il riferimento ai trasferimenti di denaro effettuati dagli istituti di pagamento, «di cui all’articolo 114-decies» del Testo unico bancario (Tub), va inteso nel senso di assoggettare ad imposizione le rimesse extracomunitarie poste in essere non solo dagli istituti di pagamento italiani iscritti all’albo in base all’articolo 114-septies del Tub ma anche da tutti gli altri istituti europei.
Tenuto conto di quanto sopra, e per evidenti questioni pratiche, l’imposta non potrà che essere acquisita allo sportello ovvero presso gli agenti in attività finanziaria i quali, quando in rappresentanza degli istituti comunitari esteri, sono anche gli unici soggetti di diritto in Italia in virtù del cosiddetto «passporting», che permette di operare nello Stato anche senza stabile organizzazione ma dotandosi del solo punto di contatto, ai fini antiriciclaggio.
Infine, una questione a parte riguarda le rimesse operate da banche e Poste italiane le quali, pur essendo classificate dalle direttive comunitarie «prestatori di pagamento», non compaionotraisoggettidicuiall’articolo114-deciesacuisiapplicalatassa; generandoundiscriminerappresentatoanchedall’Agcmconsegnalazione AS1562, che evidenzia, tra l’altro, il rischiodiriduzionedellatrasparenza sui servizi di pagamento all’estero.