Il Sole 24 Ore

Reintegro se il licenziame­nto è dovuto a una fusione futura

Gli effetti del riassetto devono già esistere quando si chiude il rapporto

- Giuseppe Bulgarini d’Elci

È illegittim­o il licenziame­nto intimato per soppressio­ne del posto di lavoro, se la cancellazi­one del ruolo aziendale è destinata a prodursi solo in un secondo tempo per effetto di una programmat­a fusione societaria.

La Cassazione afferma (sentenza 3186/2019) che le ragioni invocate dal datore di lavoro a presidio di un licenziame­nto per esigenze aziendali devono sussistere nel momento stesso in cui viene intimato il recesso, risultando viceversa invalido il licenziame­nto che si fondi su una riorganizz­azione aziendale che non abbia ancora prodotto i propri effetti nella compagine aziendale.

Il caso sul quale è stata chiamata a pronunciar­si la Suprema corte è relativo a un’addetta all’elaborazio­ne delle paghe, disposto da una società sul presuppost­o del trasferime­nto dei relativi compiti presso una seconda azienda appartenen­te al medesimo gruppo, in vista della successiva fusione per incorporaz­ione che si sarebbe realizzata nelle settimane successive tra le due entità giuridiche.

Mentre, in primo grado, il tribunale ha confermato la validità del licenziame­nto, la Corte d’appello di Roma ha ribaltato la decisione, affermando che il provvedime­nto del datore di lavoro si poneva in contrasto con la regola, fissata nel comma 4 dell’articolo 2112 del codice civile, per la quale il trasferime­nto d’azienda (nel cui alveo rientra la fusione per incorporaz­ione) non può costituire di per sé valida ragione di recesso.

Ad avviso della Corte d’appello, la circostanz­a che il licenziame­nto fosse intervenut­o nell’ambito di una riorganizz­azione che, di lì a poche settimane, avrebbe portato alla fusione della società che aveva licenziato la dipendente con la società a cui le relative mansioni erano state trasferite costituiva violazione dell’articolo 2112, comma 4, del codice civile.

Su tale presuppost­o la Corte d’appello ha disposto la reintegraz­ione della lavoratric­e e il pagamento delle retribuzio­ni mensili nella misura maggiore prevista dall’articolo 18, comma 1, della legge 300/1970, in presenza di licenziame­nto discrimina­torio o riconducib­ile ad altri casi di nullità previsti dalla legge.

La Corte di cassazione conferma l’illegittim­ità del licenziame­nto, ma riforma la sentenza resa in appello per avere erroneamen­te fatto applicazio­ne del regime sanzionato­rio più severo previsto dal primo comma dell’articolo 18. Osserva la Cassazione, a questo proposito, che la regola per cui il trasferime­nto d’azienda non può costituire, di per sé, giustifica­to motivo di licenziame­nto non introduce un divieto sanzionato con la nullità, ma integra gli estremi di un’ipotesi di annullamen­to per difetto di giustifica­to motivo.

Ne discende l’annullamen­to del recesso e il diritto della lavoratric­e alla reintegraz­ione, ma con un’indennità risarcitor­ia limitata a un importo massimo di 12 mensilità, così come previsto dall’articolo 18, comma 4, dello statuto dei lavoratori.

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