Il regionalismo può diventare una occasione anche per il Sud
Il sistema economico e politico dell’Italia può creare un importante degrado suscitando confusione e incertezza. Dagli inizi degli anni 70 si mettono in campo le Regioni. Comuni e Province erano partite in anticipo. Ma nei 29 anni, tra il 1990 e il 2019, la confusione e l’incertezza sono andate crescendo. Si allargano e si sovrappongono le strutture centrali dello Stato.
Nel 2001 le forze politiche di sinistra cercarono di arginare il federalismo della Lega. Ma nel 2016 Matteo Renzi propone di ridimensionare le Regioni, riportare lo Stato al centro di un processo più snello dei precedenti, eliminare forse, ma non è successo, un regionalismo differenziato tra Nord e Sud.
Il referendum del 2017 si trascina, incautamente, mentre il 2018 si apre al nuovo Parlamento e, faticosamente, al nuovo governo. Il passaggio al 2019 esprime una esplicita recessione nella sequenza dei due anni in questione. Stranamente, e improvvisamente, esplodono in Parlamento le ragioni di una singolare e strana competizione: Regioni che vogliono approfondire le loro competenze, isolandosi dal resto dei Comuni e dal mondo dello Stato. Mentre si propone di progetti da costruire, più o meno cinque, il resto della comunità rimane fuori del problema. Il colpo grosso avanza tra Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Il Nord Ovest tentenna in seconda fila, il centro del Paese, e “Roma Capitale” non hanno particolari progetti: Sicilia e Sardegna si dividono dal Mezzogiorno continentale. Il tema è lo scambio tra le Regioni. La crescita economica, e la competenza potenziale, di far maturare fondi dello Stato che, ribaltati sulle Regioni, possono diventare economie interessanti e sistematiche per arricchire i beni comuni e le infrastrutture cittadine tra loro.
In primis la terna Lombardia, Veneto, Emilia Romagna. Considerando meno acceso il progetto del Centro, della Sicilia e della Sardegna, emerge, evidentemente anche il problema del Mezzogiorno. Che di problemi ne ha certamente. Avendo la triade del Nord una possibilità operosa di agire, il Sud finirebbe per perdere ulteriori risorse ma, forse e in una collaborazione tra le Regioni, anche un ridimensionamento della capacità e del saper fare insieme. Nel febbraio del 2018 Giuseppe Galasso scriveva il suo ultimo articolo sul Mezzogiorno: «Buone o cattive che siano le notizie che lo riguardano, è il Mezzogiorno stesso che ormai fa sempre meno notizia in Italia (...) E si badi bene qui nessuno parla più di “politica speciale” o di “intervento straordinario” (...) Continuerà così. E non evocate, vi raccomandiamo, il “meridionalismo” oppure il problema delle “due italie” e della loro “coesione”, oppure la “questione meridionale” (...) Sono oramai tutte “cattive parole” cioè parole indecenti non degne della buona società e delle sue buone maniere» (9 febbraio 2018, Corriere del mezzogiorno).
Le Regioni del Nord hanno iniziato un percorso di fronte al Parlamento che ne accrescerà molto probabilmente capacità e competenze, consentendo loro di produrre maggiore ricchezza. Le Regioni del Sud, invece, soffrono di un maggiore tasso di disoccupazione e sono condizionate da una forza invasiva del settore pubblico che rallenta la circolazione delle risorse e del cambiamento. Allo stesso tempo si avverte la voglia di una robusta presenza di imprese medie e di programmi importanti per le esportazioni e le importazioni. Una macroregione del Sud, con quattro regioni esistenti, potrebbe avere problemi come una esuberanza di risorse umane nel settore pubblico; turbolenze borderline; povertà e delinquenza; e la necessità di allargare le capacità operative dei servizi pubblici e delle Università. Di certo la divaricazione tra Sud e Nord del nostro Paese dovrebbe suscitare una reazione nel futuro prossimo.
Ma si pone una questione: vogliamo prendere come modello la Francia e il suo modo di gestire le sfide del presente e immaginare il proprio futuro? Vogliamo ispirarci alle grandi macroregioni tedesche? La forza economica di un Paese, oltre che nei suoi abitanti, risiede nella sua stabilità. Un obiettivo da raggiungere nel medio termine con un governo e un Parlamento adeguati.