«Le regole europee? Si possono cambiare ma servono alleanze»
«Per le imprese dialogare a livello europeo è un fatto normale, e incontri come il Forum Franco-Italiano lo confermano. In questa dimensione, il problema principale dell’Italia agli occhi degli investitori resta lo spread, che va fatto scendere riconquistando la credibilità sui mercati e sgombrando il campo dalle incertezze su politiche fiscali e adesione all’euro». Per formazione e curriculum, Lorenzo Bini Smaghi è l’interlocutore giusto per uno sguardo attento sull’Italia, che conosce bene, dalla Francia, dove presiede Société Generale. L’Italia, dice, «ha mostrato qualche problema a inserirsi davvero nel dibattito europeo, ma questo capita spesso ai nuovi governi, anche di altri Paesi. I rischi più forti arrivano da uno spread di cui si continuano a sottostimare gli effetti sull’economia reale, oltre che sulla finanza pubblica».
Economia che è entrata in una fase di recessione. Il ministro delle Finanze francese Le Maire, che oggi incontrerà Tria qui a Versailles, ha detto che la recessione italiana è un pericolo per la Francia e per l'Europa. Questi scontri, insieme al rafforzarsi dei patti Franco-tedeschi, non indicano un rischio crescente di isolamento dell'Italia?
Quella di Le Maire è un’osservazione fattuale, visto l’interscambio Italia-Francia. Noi possiamo dire che siamo preoccupati del rallentamento tedesco, e del rischio di un impatto forte delle guerre commerciali su un’economia fondata sull’export, senza peccare di lesa maestà. A misurare i rischi, ripeto, è prima di tutto lo spread.
A tenerlo alto sono i giudizi sulla manovra, come quello del Country Report della commissione?
È un problema più generale di fiducia. Il mercato prezza una serie di incertezze: siamo sicuri che si eviterà una patrimoniale o altre penalizzazioni fiscali per chi investe? Siamo certi che l’idea di rimettere in discussione l’adesione all’euro sia stata accantonata del tutto? Ci sono analisi in cui si calcola in un centinaio di punti di spread l’incognita sulle prospettive fiscali, e in un’altra cinquantina l’incertezza sull’adesione all’euro. In questo contesto si inserisce poi una manovra orientata molto sulla redistribuzione, di cui nessuno nega la necessità, ma troppo poco sulla crescita e sugli investimenti.
Sul punto lo stesso ministro dell’Economia ha bacchettato un pezzo della maggioranza spiegando che gli investitori fuggono da un paese che ridiscute in continuazione contratti e regole.
Qui Tria ha ragione. Ma lo stesso discorso vale anche sulle regole fiscali europee. Si possono cambiare, ma finché sono in vigore si devono rispettare. Per cambiarle, poi, servono alleanze. Uno dei tratti fondamentali della Ue è che i governi cambiano, ma i paesi, le istituzioni e le regole restano. Non si può pensare che un nuovo governo arrivi e cambi tutto, rompendo gli accordi precedenti.
Ma anche nell’economia reale, oltre che nella politica, non c'è il riemergere di un’Europa delle nazioni, dalla vicenda FincantieriStx alle tensioni di queste ore tra Parigi e l’Olanda sulle quote in AirFrance?
La concorrenza c'è sempre stata, ma per Air France si parla di una grande compagnia che opera all’interno di una competizione globale. Bisogna capire proprio questo: che l’Europa è una parte di un sistema più ampio, e che il futuro della concorrenza europea avviene in un contesto globale.
Le polemiche di casa nostra sull’Italia “terra di conquista” di aziende francesi non sembrano andare in questa direzione...
Sono polemiche sbagliate. I francesi che hanno investito molto in Italia hanno creato molti posti di lavoro. Per investire e creare lavoro bisogna essere competitivi a livello globale: basta guardare la Borsa di Parigi per vedere che la Francia ha molte grandi imprese, spesso più di una per settore. E in un contesto globale la dimensione conta.