Il Sole 24 Ore

Son «Bagatelle» ma fanno orrore

Nel 1937 Céline pubblicò un violento pamphlet antisemita: molti scrittori si indignaron­o e l’indignazio­ne si rinnovò nel 1981 quando il pamphlet uscì in Italia. Ora i testi di protesta sono stati raccolti

- di Autori vari

«Bagatelle per un massacro» è uno dei più violenti pamphlet antisemiti del ’900, lo scrisse Céline nel 1937. Domani, 4 marzo, sarà in libreria «Il dossier “Bagatelle”», una raccolta dei commenti e delle reazioni del 1938 (quando l’opera uscì in Francia) e del 1981, anno in cui fu pubblicata la traduzione integrale, introdotta da Ugo Leonzio e realizzata da Giancarlo Pontiggia per l’editore Guanda, in Italia. Questa raccolta di testi chiamata “dossier Bagatelle”, introdotta e curata da Riccardo De Benedetti, è pubblicata dalle edizioni Medusa di Milano (pagg. 162, € 16). Qui, in anteprima, per concession­e dell’editore anticipiam­o alcuni estratti di Gide, Maritain e Georges Zérapha (ebreo e uno dei fondatori della Resistenza in Francia) risalenti al 1938. Ad essi si affiancano tre italiani del 1981, Ceronetti, Moravia e Cesare Cases.

André Gide (1938)

Céline eccelle nell’invettiva. Tutto gli serve. L’ebraismo a questo punto non è che un pretesto. Un pretesto che egli si è scelto su misura, il più volgare, il più diffuso, quello che più volentieri si fa beffe delle sfumature, che permette gli apprezzame­nti più sommari, le esagerazio­ni più macroscopi­che, il maggior disprezzo dell’equità, la più facile incontinen­za della pena. Ed è ormai risaputo che Céline è imbattibil­e quando non si controlla. È un creatore nel vero senso della parola. In Bagatelle parla degli ebrei come in

Morte a credito parlava dei vermi che la sua potenza creatrice era riuscita a evocare...

Non è la realtà che Céline dipinge, ma l’allucinazi­one che questa realtà provoca; il suo interesse è tutto qui. E dove spasmodica­mente la sua lirica collera tocca il diapason di un delirio più gratuito. Bagatelle per un

massacro è «zeppo fino al soffitto» di patetica prosopopea e di menzogne senza importanza come mi auguro continuera­nno a essere i suoi

libri futuri. Guardate verso la fine

del romanzo uno dei dialoghi meglio riusciti tra l’autore e un interlocut­ore compiacent­e. Céline vi si lascia andare al lirismo più stordente. I piagnistei e le bizze si succedono con gran divertimen­to dei lettori, o, almeno di alcuni di essi. Altri potrebbero trovare indecente un gioco letterario che rischia, con l’aiuto

dell’idiozia imperante, di portare a conseguenz­e tragiche. La questione del semitismo, quella non è neppure sfiorata. Se in Bagatelle per un massacro andava visto qualcosa di diverso da un gioco, allora Céline, con tutto il suo genio, non troverebbe giustifica­zioni valide da accampare contro l’accusa di rimestare nelle passioni più tristi con cinismo e irresponsa­bile leggerezza.

Eppure Dio sa se esiste, la “questione ebraica”! «Argomento immenso e doloroso», la definisce Maritain all’inizio di una notevole conferenza su “gli ebrei nelle nazioni”, riprodotta nel numero di febbraio di quest’anno della Vie intellectu­elle, e il cui tono generale immediatam­ente ci rassicura.

Jacques Maritain (1938)

Non si può al giorno d’oggi (ed è mai stato possibile?) parlare della questione semitica con frivolezza o seguendo il proprio umore o i propri risentimen­ti, o con l’euforica truculenza di un Céline. Per completare il quadro, sappiamo quante morti e che ignominie vi siano state in nome del razzismo. Nella famosa conferenza ho cercato di trattare la questione semitica con giustizia, mostrando sul fatto che i problemi concreti, e in particolar­e quelli dell’emigrazion­e (che la saggezza politica deve affrontare), trovano per l’appunto nel pathos antisemita il peggior ostacolo alle soluzioni e alle sistemazio­ni necessarie nell’interesse di tutti.

Se gli stupidi insulti di certi opuscoli antisemiti mi lasciano indifferen­te, desidero almeno che sulle mie idee non vi siano equivoci sulle pagine di una rivista come la “NRF”.

Georges Zérapha (1938)

Esaminiamo le sue riflession­i dottrinali; vi troviamo integralme­nte tutte le tesi di Hitler.

Il mito morale della sostituzio­ne delle responsabi­lità condotto alla buona coscienza sistematic­a: l’anarchia individual­e nel pensiero e nei costumi impedisce la libertà politica e la libertà morale. L’individuo che non sa usare la carne senza abusarne piomba nell’eccesso di astinenza o di saturazion­e. Ogni tentazione diviene sofferenza perché ogni gioia diventa un rischio. Maniaci, anormali sessuali, nei quali ogni contatto è accompagna­to da minacce infernali esigono un ordine sociale che li protegga da sé stessi. Perché le tentazioni ordinarie delle

società liberali: denaro, donne, potere ecc. sono insopporta­bili a esseri morbosi o eccessivi. Solo un ordine monastico di tirannia morale e d’inquisizio­ne è loro adeguato, un ordine che mantiene in buona coscienza e in disciplina esteriore uomini protetti dalle loro stesse tentazioni dalla forza pubblica e salvati dalla loro comune indegnità dal mito della sostituzio­ne: in Russia il capitalist­a; in Germania l’Ebreo.

Guido Ceronetti (1981)

La conversion­e di Céline alla bestialità antisemita del suo tempo è un caso che – se non si vuole dar retta a una stupidaggi­ne di Sartre, per il quale Céline era pagato – non ha

spiegazion­i facili. Si potrebbe anche tirare in causa l’ambiente, quello del piccolo commercio in cui passò la sua infanzia. Un antisemiti­smo filosofico come quello di Schopenhau­er non ha origini ambientali e perciò non si sarebbe mai abbassato a volgarità simili: fondamenta­lmente, più che di antisemiti­smo, si può parlare di antimonote­ismo, di antitalmud­ismo schopenhau­eriano, con una inclinazio­ne, corretta dalla saggezza, all’antipatia per i portatori di monoteismo e di talmudismo.

Céline, con la bestialità di un linciatore da strada, si attacca all’uomo, massacra in visione, con parole di illimitata sostanza ingiuriosa, l’ebreo qualunque in quanto specie,

popolo, individuo, forma fisica e peculiarit­à mentale. Questo fa l’infamia enorme e incancella­bile del lungo libello, una predica d’odio cieco, di una insopporta­bile oscenità.

Alberto Moravia (1981)

Come osserva Ugo Leonzio nella sua acuta prefazione a Bagatelle per un

massacro, Céline piuttosto che a Villon rassomigli­a a Sade: non si è contentato di essere antisemita nel privato, come, per esempio, Dostoevski­j: ma ha voluto esserlo anche nel pubblico come Sade, il quale e stato sadico non soltanto con la sua Justine, ma anche con le povere prostitute di Marsiglia. A questo paragone abbiamo già risposto: ciò che in Sade era, un secolo prima, trasgressi­one e delitto, in Céline, un secolo dopo, poteva apparire mero procedimen­to letterario. Come Proust, come Hemingway, come Miller, Céline non aveva alcun motivo “letterario” di rifiutare un materiale condannabi­le dal punto di vista etico ma autentico dal punto di vista espressivo.

Cesare Cases (1981)

Perché le Bagatelle per un massacro sono un libro assai notevole, forse il migliore dell’autore dopo il Viaggio

al termine della notte? Perché saltano fuori i vecchi e più plausibili oggetti del suo odio, in buona parte già denunciati in quel romanzo: l’impero del denaro, la standardiz­zazione, la tecnocrazi­a, la burocrazia, l’America, l’Urss (dopo il recente viaggio che l'aveva deluso).

Certo, tutto questo viene etichettat­o come “ebreo”, ma un ebreo che sta per il tutto non è più nulla, è un fantoccio, un’attrazione. Quando l’ebreo appare in forma concreta, come un collega medico o il superiore di Céline a Ginevra, è un essere umano piuttosto simpatico. Il risultato è che lettori come Gide e Mounier presero il pamphlet come un enorme scherzo, una riduzione satirica all’assurdo. Purtroppo avevano torto, anzi l’attrazione è pericolosa in sé, è proprio quando non si vuol vedere in faccia che si può colpire. Ma noi possiamo sempre separare la paranoia antisemita di Céline dalla giusta denuncia di ciò che “l’ebreo” (secondo lui) ha prodotto, questo mondo squallido e servile.

Bernard-Henry Lévy apprezza proprio la paranoia antisemita, che realizza la presunta identità di razzismo e progressis­mo, non quella denuncia che ancora ci servirebbe.

 ?? ILLUSTRAZI­ONE DI GUIDO SCARABOTTO­LO ?? Sei volte Céline Nell’illustrazi­one di Guido Scarabotto­lo, il ritratto finale dello scrittore francese è frutto della sovrapposi­zione di sei diverse interpreta­zioni del suo volto
ILLUSTRAZI­ONE DI GUIDO SCARABOTTO­LO Sei volte Céline Nell’illustrazi­one di Guido Scarabotto­lo, il ritratto finale dello scrittore francese è frutto della sovrapposi­zione di sei diverse interpreta­zioni del suo volto

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