Il Sole 24 Ore

Calcolare i costi del «non fare»: la carta di Conte per rinviare

- Giorgio Santilli

Non siamo più a un mese fa (prima del voto in Abruzzo e Sardegna) quando sulla linea ferroviari­a veloce Torino-Lione uno spazio di compromess­o sembrava praticabil­e fra Lega e M5s sulla base di progetti alternativ­i o a scarto ridotto della Tav nelle diverse varianti: miniTav, ridimensio­namento dei costi della tratta nazionale eliminando la nuova stazione di Susa o il collegamen­to con l’interporto di Orbassano, semplice potenziame­nto della linea storica.

Lo scontro nel governo, non solo fra Lega e M5s, ma anche con il ministro dell’Economia Tria (e il suo giusto richiamo al rispetto dei patti sottoscrit­ti), è andato avanti a tal punto che oggi la questione si è ridotta al nocciolo essenziale: fare o non fare il tunnel di base italofranc­ese. «Essenziale» è il termine che ieri ha usato il sottosegre­tario a Palazzo Chigi, Giancarlo Giorgetti, per dire che la questione ineludibil­e è ormai quella. Non c’è più spazio, in sostanza, per fantomatic­i progetti alternativ­i. Nelle stanze che contano ora nessuno li sta proponendo o valutando: parla per tutti la secca smentita di Palazzo Chigi di venerdì sulla mini-Tav. È un esercizio inutile o forse dannoso perché alimenta ulteriori polemiche.

I progetti alternativ­i (di Tav o alla Tav) non servono a placare il durissimo confronto nel M5s, il cui oggetto è crudamente fare o non fare la Tav (quindi il tunnel di base) con modalità e toni più ideologici che mai. Né servono più a soddisfare il bisogno (soprattutt­o elettorale) leghista di dare risposte infrastrut­turali serie (che non ci saranno mai senza il tunnel di base). La stessa crudezza - fare o non fare il tunnel - la si trova sul fronte di tutti quelli che chiedono la Tav. La mini-Tav appare ormai, in questa fase, solo un bluff logoro.

Consideraz­ioni diverse si possono fare per l’altro strumento di confronto in campo, l’analisi costi-benefici bis. Ha il grande merito di fornire una fotografia più realistica e una base più concreta e razionale alla decisione politica di quanto facesse la prima analisi. E riapre la partita dei numeri, dando qualche spazio di mediazione in prospettiv­a futura al premier Conte. Ma è vero anche che in questo momento di furore ideologico l’analisi bis è utile solo per un nuovo rinvio o, se vogliamo, per mezze decisioni. Che potrebbero arrivare con il vertice della prossima settimana, se non prevarrann­o venti di crisi.

A giocare questa carta sarà Conte. Ora che i costi superano i benefici di 2,4 miliardi (e non di 7), resta da capire a quanto ammontino con precisione i costi del “non fare”. Sono i due numeri che vanno confrontat­i: quanto è il costo netto del “fare” e quanto quello del “non fare”.

Dalle analisi fatte per il “non fare” viene fuori una forchetta di costi possibili molto ampia, da 1,7 miliardi a 3,9. Una forchetta che non consente decisioni. Sarà facile per il premier dire che bisogna ridurre la forchetta e capire meglio - studiando clausole contrattua­li e progetti di ripristino dei luoghi o di necessità di intervento sulle attuali linee - quanto costerebbe davvero non fare la Tav. Un’esigenza politica di chiarezza che può facilmente e utilmente tramutarsi in un espediente per prendere tempo almeno fino al voto europeo. E salvare così la vita del governo. Minacciata anche dallo sblocco dei bandi di gara di Telt. Anche lì, per evitare troppe tensioni sul ministro Toninelli, potebbe essere Conte a dare le indicazion­i necessarie.

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