Il Sole 24 Ore

Il rock di Paganini

- Antonio Armano

Arendere plausibile un libro su Genova eccessivo come La Superba è il crollo del ponte Morandi, quel moncone ancora sospeso tra i palazzi sfollati e l’affollata Ikea dopo una tragedia da paesi sottovilup­pati in una città d’arte del Nord Italia. Burocrazia e fatalismo levantino, difficoltà e unicità orografich­e, slanci di grandeur e bassezze, ascese e cadute: il romanzo di Ilja Leonard Pfeijffer, un nome escogitato per far sbagliare i giornalist­i italiani, contiene tutte le contraddiz­ioni di un luogo dove gli edifici aristocrat­ici convivono con i caruggi più angusti e fetidi, le ragazzine più fresche e filiformi incrociano nei vicoli vecchi trans pacchiani e grevi, e il genio italico si trasforma in ottusità.

Pfeijffer è uno scrittore affermato in patria, con una formazione da classicist­a, e ha deciso di restare a Genova dopo avere visitato nel 2008 altre città italiane, le classiche mete da gran tour. Nella Superba il passato è meno sacralizza­to – spesso viene dissacrato o distrutto - e ingombrant­e che altrove, Firenze o Venezia... Il passato a Genova incombe ovunque, cade a pezzi a volte, ma non ha privato la città di autenticit­à trasforman­dola del tutto C’è tempo fino a domenica prossima 10 marzo per visitare , all’Appartamen­to del Doge di Palazzo Ducale, l’insolita mostra «Paganini rockstar. Incandesce­nte come Jimi Hendrix». Niccolò Paganini, avvolto tutt’oggi nelle nubi fumose di leggende, luoghi comuni e misteri, è infatti un musicista rock, laddove rock vuol dire rivoluzion­e.

Paganini e Hendrix non sono due universi poi così distanti: entrambi furono dei virtuosi, entrambi osannati dalle folle, entrambi legati al proprio strumento che era di fatto il prolungame­nto della loro anima oltreché del loro corpo. La mostra unisce i manoscritt­i originali di Paganini ai costumi di scena di Hendrix in un impianto multimedia­le di forte impatto in una Disney turistica. La chiusura e la cocciutagg­ine conservatr­ice che caratteriz­za la mentalità locale hanno preservato Genova dalla globalizza­zione alla Tripadviso­r. Proprio per questo Pfeijffer ama la città, ne è innamorato, e allo stesso tempo ne ha paura, ne è inquietato, come tutti gli innamorati di creature lontane ed esotiche.

In Olanda Pfeijffer ha appena pubblicato Grand Hotel Europa, una riflession­e, sempre in forma di romanzo, sul futuro di un continente forse destinato a diventare un museo per viaggiator­i asiatici, sulla scia di Venezia. Uscirà con Nutrimenti, che ha pubblicato La Superba. Parentesi: è un piacere vedere un libro così ben curato e tradotto, senza refusi, in una veste grafica piacevole e riuscita, non buttata lì, come purtroppo capita sempre più spesso. Chiusa parentesi.

Tra le pagine della Superba, come tra le strade e i vicoli di Genova, si sentono echi che provengono da mille voci diverse. C’è l’innamorame­nto per la cameriera “locale”, che ricorda Chiedi alla polvere di John Fante. Lei è sempre a portata di mano quando lavora, ma allo stesso tempo sfuggente. C’è l’erotismo squallido e il bere oltre ogni limite come in Bukowski, il vomito nelle scarpe con i tacchi alti e i capezzoli grandi come 45 giri in vinile. Ma più che ogni altro testo La Superba richiama alla mente La Pelle di Malaparte, il ritratto grottesco e surreale di una città mediterran­ea, dal cui ventre antico può scaturire di tutto e quanto sembra inventato alla fine risulta più vero del verosimile.

I trans di Pfeijffer ricordano certe scene malapartia­ne e la mostruosit­à è letteralme­nte dietro l’angolo. Malaparte voleva intitolare il libro La Peste, ma Camus l’ha preceduto. Per Malaparte la peste era l’arrivo di un esercito ben nutrito ed equipaggia­to in una città ridotta allo stremo e alla fame, un esercito che fino a qualche mese prima era considerat­o nemico e arriva per essere accolto come «liberatore» e corrompe chi è sopravviss­uto alla guerra. Per Pfeijffer la peste è la miseria dell’immigrazio­ne africana, l’arrivo di disperati che attraversa­no il deserto e poi il Mediterran­eo su un gommone sgonfio, illusi di trovare sull’altra sponda del mare l’America, anzi «La Merica» come dicevano milioni di migranti italiani che attraversa­vano l’Oceano in cerca della terra promessa partendo proprio da Genova.

Scrittore olandese

Ilja Leonard Pfeijffer vive a Genova dal 2008. In alto, uno scatto di Chiara Durand

Così come l’amore per una donna è sempre un gioco di illusioni, di specchi – non a caso la cameriera lavora al caffè degli Specchi -, anche l’amore di Pfeijffer per la città è fatto di proiezioni, fantasmi e disillusio­ni. Questo vale anche per Rashid, marocchino che vende rose a un euro, manda qualche soldo a casa e vorrebbe tornarci solo in vacanza con la Mercedes e il Rolex. Più ancora vale per Djiby, senegalese che per mangiare fa lavoretti pesanti e ha attraversa­to l’inferno per arrivare in Italia e finire nei caruggi pieni di africani dove i genovesi dopo il tramonto non mettono piede, nemmeno quelli appartenen­ti alle forze dell’ordine. Il suo racconto è una delle parti più belle del libro, così come il ritratto di un noto e storico frequentat­ore dei bar di piazza delle Erbe, Donald Perrigrove Sinclair, scomparso nel 2015, grande bevitore di «cappuccini senza schiuma». Cioè gin tonic.

Diversamen­te che in Malaparte, italiano fra italiani a Napoli, Pfeijffer ha la prospettiv­a di uno straniero e vuole anche raccontare Genova. Il tifo calcistico diviso tra Genoa e Sampdoria, i ristoranti, i caffè, la storia, persino i fantasmi. Una notte, dopo una nevicata, incontra una vecchina, vestita in modo antiquato, che gli chiede se sa dirgli dove si trova vico dei Librai. Il nome è molto suggestivo per uno scrittore, che tra l’altro conosce benissimo il centro storico, ma non lo ha mai sentito. Alla fine la vecchina sparisce lasciando una banconota sul bancone del bar e nessuna orma sulla neve. Si tratta di cento lire del Regno d’Italia: la donna è un famoso fantasma che vaga senza pace da quando la via che portava quel nome è stata distrutta dai bombardame­nti del 1942, come tutto il resto del quartiere, la Madre di Dio. Leggende metropolit­ane che si fanno letteratur­a.

Autofictio­n picaresca, narrativa di viaggio, denuncia sociale ai tempi dei «porti chiusi»: nella Superba convivono molti generi e anime letterarie, persino il romanzo nel romanzo e la deriva giudiziari­okafkiana. La lettura è impegnativ­a, soprattutt­o nella prima parte, che richiede la sospension­e dell’incredulit­à e l’apertura credito verso un vichingo che ti viene a raccontare che cosa è Genova per lui. Ma la forza e la profondità della scrittura e il coraggio dell’autore nel mettersi letteralme­nte a nudo ripagano ampiamente lo sforzo.

L’Ardita Domenica 24 marzo Arezzo propone l’Ardita,

ciclostori­ca dell'Alpe di Poti

per biciclette d’epoca. Une bella occasione per

scoprire il territorio di Arezzo e del Casentino con una forma affascinan­te di turismo lento.

Nei giorni precedenti Piazza

grande ospita anche Bicinfiera,

il festival del ciclismo: dalla mostra scambio di biciclette storiche alle ultime novità del settore,

mostre fotografic­he, rappresent­azioni

teatrali ecc. www.lardita.com

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