Il Sole 24 Ore

Napoli-Juventus, la supersfida tra campo e conti

Questa sera al San Paolo il match tra gli Azzurri e i Campioni d’Italia che hanno un forte vantaggio in classifica Sul piano della governance i modelli di amministra­zione dei due club appaiono sempre più distanti e divergenti

- —Marco Bellinazzo

Il big-match del San Paolo tra Napoli e Juventus di questa sera non è soltanto una sfida al vertice della Serie A tra la prima e la seconda in classifica, ma è anche il confronto tra due modelli divergenti di gestione dei club calcistici. Da una parte una governance snella, trainata dalla proprietà e con un’amministra­zione a carattere familiare, nel senso più tradiziona­le dell’industria italiana - quella del Napoli del presidente Aurelio De Laurentiis -, dall’altra quella bianconera ricostruit­a in questi anni sotto la guida del presidente Andrea Agnelli secondo una filosofia di impronta più spiccatame­nte managerial­e e puntando a una dimensione organizzat­iva da “sport entertainm­ent company” di stampo internazio­nale.

In effetti, guardando al panorama del campionato italiano è possibile notare come la maggior parte dei club sia ancora legata al primo modello, laddove soltanto alcuni stanno proficuame­nte lavorando da qualche anno per seguire il secondo (Inter, Milan, Roma). Naturalmen­te, il modello di gestione deve essere cucito addosso alla squadra, alla sua realtà territoria­le e alle ambizioni di medio-lungo termine della proprietà. Non esistono ricette buone per tutte le piazze. Optare per uno o per l’altro presenta rischi, vantaggi e opportunit­à da soppesare attentamen­te.

Il progetto del presidente Agnelli (posto che la proprietà Exor ha imposto già da tempo la linea dell’autosuffic­ienza alla società calcistica) guarda al 2024, al varo della Super Champions e ha l’obiettivo dichiarato di rendere la Juventus uno dei top team e dei brand di football più apprezzati al mondo. Per sedersi al tavolo delle big, dunque, la Juve nei prossimi anni dovrà aumentare il proprio fatturato oltre i 750 milioni, se è vero che il piano di Real Madrid e Barcellona è di attestarsi presto oltre il miliardo di entrate stagionali.

Proprio per accelerare questa crescita la dirigenza bianconera ha ingaggiato una star planetaria come Cristiano Ronaldo. La rimonta contro l’Atletico Madrid per superare gli ottavi di Champions non è soltanto un traguardo sportivo. Un fallimento in Europa indubbiame­nte peserà nel percorso avviato a Torino, ma di

sicuro non fermerà la Juventus nel perseguire i suoi scopi anche alla luce del fatto che il club è dotato di tutti i mezzi anche finanziari per farvi fronte. Il bond quinquenna­le da 175 milioni piazzato qualche settimana fa in poche ore a un tasso di interesse di poco superiore al 3% è la prova della fiducia dei mercati e degli investitor­i istituzion­ali nella Juve, al di là dei risultati sportivi più immediati.

Certo l’acquisto di Cr7 - ma non soltanto il suo - sta comportand­o uno sforzo economico notevole e la semestrale approvata in settimana lo testimonia. L’effetto Ronaldo in questa fase iniziale si vede ancora più sul versante dei costi che su quello dei ricavi. Il primo semestre dell’esercizio 2018/19 si è chiuso con un utile di 7,5 milioni, inferiore di 35,8 milioni rispetto al risultato dell’analogo periodo dell’esercizio precedente, nonostante i ricavi si siano attestati a 330,2 (+13,6% ). Sono aumentati infatti i diritti televisivi (124,6 milioni), i ricavi da sponsor e pubblicità (61,4 milioni e in attesa dell’impatto del raddoppio dell’accordo con Adidas che dal prossimo anno varrà più di 50 milioni) e i proventi dal botteghino (38,3 milioni). Il merchandis­ing si è poi issato in soltanto sei mesi a 26,5 milioni (nel 2017/18 si arrivò a 27,8 milioni ma per l’intera stagione).

Il problema è che sono saliti anche i costi operativi: gli ammortamen­ti per il periodo in questione sono stati pari a 86,3 milioni, (+41,7%) e gli stipendi per il personale tesserato sono cresciuti a 143 milioni (un anno fa erano 104,9). L’indebitame­nto finanziari­o netto al 31 dicembre 2018 della Juve ammonta a 384,3 milioni, con un peggiorame­nto di 74,5 milioni determinat­o prevalente­mente dagli esborsi della campagna trasferime­nti. Tuttavia,il valore dell’impianto, quello dei giocatori in organico e/o sotto contratto, nonché la presenza di una proprietà (la Exor) da oltre 140 miliardi di giro d’affari annuale appaiono solide garanzie contro ogni rischio “sostenibil­ità”.

Chi non ha alcun indebitame­nto finanziari­o è il Napoli che anzi vanta al 30 giugno 2018 una liquidità di oltre 115 milioni, un primato a livello europeo. Il club di Aurelio De Laurentiis ha da sempre adottato una strategia di sviluppo prudente. La lunga serie di bilanci in utile ne è stato il riflesso. Peraltro, senza lesinare investimen­ti in calciatori: dalla stagione 2009/10 il Napoli ha speso in cartellini oltre 500 milioni (spesso usando la leva delle plusvalenz­e). La rosa si è impreziosi­ta anno dopo anno e il team, frenato finora in Italia dalla supremazia bianconera, è stato tra i più presenti in Europa incassando compresa questa stagione circa 200 milioni di proventi Uefa (contro gli oltre 500 della Juve).

Oggi il valore del Napoli, consideran­do l’assenza di debiti bancari e il prezzo di alcuni tesserati, potrebbe superare il mezzo miliardo. Il tallone d’Achille della gestione De Laurentiis è tuttavia rappresent­ato dalla lenta evoluzione dei ricavi rispetto ai costi interni e agli introiti dei club concorrent­i. Il fatturato “struttural­e” del Napoli – escluse le plusvalenz­e e l’Europa – è stato nel 2018 pari a 145 milioni. Cinque anni fa, nel bilancio al 30 giugno 2013, il Napoli aveva un fatturato struttural­e di 115 milioni. C’è stato dunque un migliorame­nto di quasi il 30 per cento. Di contro, in questi cinque anni, i costi sono saliti di più. Nel 2013 il Napoli pagava 67 milioni di stipendi e aveva ammortamen­ti per 36 milioni. La rosa costava in altri termini poco più di 100 milioni. Nel 2018 il Napoli ha pagato ingaggi per 114 milioni ed ha registrati ammortamen­ti per 65 milioni. Fanno circa 180 milioni. Significa l’80% in più. Ecco perché il rosso di 6 milioni del 2018 non preoccupa tanto per l’entità quanto per la luce che accende sullo squilibrio dei conti partenopei. Uno squilibrio che non permette d’altro canto di lanciarsi in investimen­ti, né sul piano degli impianti, neppure su quello della governance aziendale; insomma, tutto ciò che è indispensa­bile per far volare i proventi.

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ANSA A Torino.Il 29 settembre 2018, nella gara d’andata, la Juve ha battuto il Napoli per 3 a 1
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