Dieci coraggiose «expat» di fede europeista
Donne e politica/2. La testimonianza di funzionarie e consulenti da Bruxelles
Così come Moni Ovadia dichiara, nella primissima pagina del libro, di sentirsi onorato e gratificato dall’essere stato invitato a scriverne la prefazione, a mia volta mi dichiaro gratificata e onorata per essere stata invitata a scriverne una recensione.
Le «europee» del titolo non sono le ormai prossime omonime elezioni, che fanno temere ai cuori europeisti rinascite e affermazioni di nazionalismi e populismi a dir poco stantii. Sono dieci donne europee che lavorano a vario titolo per l’Europa e vivono prevalentemente a Bruxelles; dieci expats di origine italiana di cui alcune hanno cambiato nazionalità ma tutte di sicuro hanno cambiato lingue e luoghi di vita e di lavoro. Expat è termine usato per lo più in Paesi di lingua anglo-americana ma già emigrato e accolto in altri luoghi; è l’abbreviazione di expatriate, sostantivo e aggettivo di derivazione latina: da ex-patriare, uscire, allontanarsi dalla patria. Secondo la definizione di expat dell’Oxford English Dictionary, il termine designava originariamente persona in esilio. Adesso, persona che si è spostata dal suo Paese e vive per scelta in un Paese straniero. L’expat è una specie di migrante, diciamo così, se non che è benestante e istruito, ha i documenti, il conto in banca, le carte (di credito) in regola, la conoscenza delle lingue giuste e un posto di lavoro.
Queste expat sono tutte donne e tutte non soltanto europee per nascita ma europeiste per scelta, chi per vocazione, chi per passione, chi per «eredità», chi per caso divenuto poi convinzione. Alcune sono figlie di migranti (quelli che una volta, quando andavano a cercar fortuna in Belgio o in America, si chiamavano emigranti), e lo raccontano nelle interviste autobiografiche che seguono i loro saggi di carattere invece politico-economico-culturale; tutte sono poliglotte e hanno un sogno europeo innato o acquisito. Leggere i loro contributi è entusiasmante e istruttivo perché si capiscono e si imparano un sacco di cose. Si capisce perché l’Unione Europea è così importante per il rispetto dei principi di parità e uguaglianza di genere, minacciati dalla crescita di populismi e nazionalismi; per la protezione dei diritti umani violati in molte parti del mondo e nella stessa Europa nonché delle libertà fondamentali, della dignità umana, dello stato di diritto, dei principi della democrazia. Quei principi che sembrano contare ben poco per chi ha in mente l’ingrassamento esclusivo dei «nostri», atteggiamento cannibalico che supera ogni altro valore, dalla pietà al merito.
Si impara che la penetrazione a macchia d’olio di imprese e attività e interessi cinesi, non soltanto in Etiopia o in Pakistan ma anche nei Balcani occidentali e di fatto in tutti i Paesi membri dell’Unione Europea, è preoccupante proprio perché la politica della Cina non si basa su fondamenti democratici e rispettosi dello stato di diritto. Si capisce che le demagogie populiste e sovraniste europee che tanto tuonano contro le regole europee in materia di migrazione, si guardano bene dallo spiegare onestamente che il Parlamento Europeo ha già approvato una modifica radicale del sistema di asilo (il cosiddetto sistema di Dublino), e che è in attesa della decisione finale del Consiglio.
Le dieci donne coraggiose che hanno composto questa raccolta di saggi, funzionarie, politiche o consulenti delle istituzioni europee e che hanno a cuore il progetto europeo questi punti non li mascherano ma li illustrano facendoci conoscere un’altra Bruxelles, tutt’altro che grigia e burocratica, come si esprime Monica Frassoni, l’unica che nomino ma soltanto perché, prima
inter pares, ha avuto l’idea e ha curato la realizzazione di questo libro benemerito. Dove purtroppo la divisione in sillabe delle parole a fine periodo è stata affidata a un tipografo pazzo o più probabilmente a un computer ignorante di regole grammaticali, creando grande disappunto al lettore.
Per non finire però con questo fastidioso anche se necessario rabbuffo, insisterò ancora una volta sulla pregevole idea, che qui prende corpo, della mobilitazione delle donne, expat o locali, per la promozione della società civile e la propulsione delle istituzioni europee al fine di consolidare obiettivi e servizi per i cittadini, evitando che le questioni che toccano la loro vita si perdano nelle maglie degli interessi portati avanti dai rappresentanti nazionali. Ed evitando di mettere questi stessi interessi gli uni contro gli altri come nel caso dei regimi fiscali favorevoli che vanno a beneficio di alcuni e a discapito di altri Stati europei.