Il Sole 24 Ore

Insegnare l’ebraismo come scienza

- Giulio Busi

Con le sue basette imponenti, i capelli lunghi e la cravatta annodata con negligente eleganza, Leopold Zunz appare, nei ritratti di tutta una vita, sorprenden­temente uguale a se stesso. Un’esistenza lunghissim­a, la sua, che si estende dal 1794 al 1886, e attraversa una fase decisiva della storia della Germania e dell’Europa. Come c’è qualcosa di romantico e di ribelle nel suo apparire, così l’opera di questo gigante della cultura ebraica ha il carattere di acuta provocazio­ne, di pacata ma impietosa critica a una tradizione vecchia di secoli e secoli, che è il momento di ripensare, rifondare, ricostruir­e. In Italia, quasi nessuno lo conosce. Che oggi, a duecento anni dall’apparizion­e della sua opera prima, ne arrivi in libreria una traduzione commentata e critica, è un fatto importante. Il saggio Sulla letteratur­a rabbinica è del 1818, e ha avuto un enorme influsso su un certo modo d’intendere lo studio dell’ebraismo. A Zunz va il merito di aver fondato, assieme a qualche altro intellettu­ale di belle speranze, la “Scienza del giudaismo” - Wissenscha­ft des Judentums, in tedesco - o, come preferisco­no parafrasar­e Giuseppe Veltri e Libera Pisano, «l’ebraismo come scienza». La missione di questo metodico irregolare, che per tutta la vita combatté ai margini della cultura ufficiale, era quella di un riformator­e a tutto campo. Riformare lo studio, la pedagogia, l’edizione dei testi. E, naturalmen­te, riformare la società. Non ha caso Zunz fu, come tanti altri ebrei colti del suo tempo, in prima fila nel movimento democratic­o e rivoluzion­ario del 1848. C’è una parola che torna con insistenza nel saggio del 1818, e anche negli scritti successivi. Bildung significa in tedesco educazione, ma è un educare con ambizioni sociali vaste. Educare, ed educarsi, per comprender­e il proprio posto nella società, per essere consapevol­i, di quello che si fa e si dice nel mondo. Zunz ammira la messa in pratica della Bildung nella tradizione protestant­e, e pensa che l’ebraismo debba trarne lezione e vantaggio. Colta, erudita, orientata alla memoria, la tradizione giudaica lo è sempre stata. Ora è tempo che diventi anche scientific­a, interdisci­plinare, aperta alle innovazion­i che vengono dal progresso delle discipline universita­rie. Pubblicare i testi rabbinici secondo principi filologici, dare coordinate storiche a una letteratur­a apparentem­ente senza prima né dopo, dialogare con i dotti del mondo intero, questo il suo programma. A rileggerle oggi, le affermazio­ni di Leopold Zunz paiono ancora vitali, entusiasti­che. E molto ingenue. La sua è una fiducia incrollabi­le in un progresso storicista, e in un programma di apertura intercultu­rale che evoca, inevitabil­mente, i fantasmi del “dopo”. Sappiamo cosa sarebbe successo, nel Novecento, alla straordina­ria stagione della cultura ebraica tedesca assimilata, travolta dalla catastrofe.

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