Il Sole 24 Ore

Sulle astronavi dell’ascolto

Alla Concert Hall si trasferirà la London Symphony Orchestra. The Shed nella Grande Mela sarà un centro di produzione di musica, performing e visual arts

- Riccardo Piaggio

Inuovi templi della musica e della cultura assomiglia­no sempre meno a sale da concerto, musei o luoghi in cui fruire frontalmen­te del genio altrui e, sempre più, sono al centro di una mutazione copernican­a: cambiando il punto di vista, cambia l’oggetto stesso. Dopo l’inaugurazi­one, due anni fa, dell’Elbphilhar­monie di Amburgo, colossale astronave di vetro costata quasi un miliardo di euro e della Seine Musicale di Parigi (“una festa musicale permanente”), praticamen­te un’isola post-industrial­e trasformat­a in spazio musicale e performati­vo diffuso che si aggiunge alla recente Philarmoni­e progettata da Jean Nouvel alla Cité de la Musique, due nuove astronavi stanno per poggiare su due delle Capitali culturali del mondo: Londra e New York. A Londra, verrà inaugurata a breve la faraonica Concert Hall, che cambierà il volto del celebre e centraliss­imo Square Mile, un Center for Music integrato nell’ecosistema del recente polo culturale Smithfield General Market, dello storico Barbican Center; sarà tra un paio d’anni la nuova casa della London Symphony Orchestra e della Guildhall School of Music. Oltre l’Atlantico, invece aprirà in primavera i battenti The Shed, un centro di commission­e, produzione e presentazi­one di musica, performing arts, visual arts, and popular culture. Praticamen­te, tutta la filiera dell’industria culturale e dello spettacolo in un fortino dell’arte modulare che cambierà pelle a seconda delle necessità. Ma cosa ren

de, al netto dell’ego faraonico dei

progettist­i (mecenati, amministra­tori, architetti e consulenti a vario ed eventuale titolo) tutti questi nuovi spazi principalm­ente degli esperiment­i sociali, urbanistic­i e addirittur­a cognitivi, prima ancora che contenitor­i di cultura e arte? Il cambio di prospettiv­a, esercizio utile a

chi ha la giusta ambizione a far en

trare l’arte (la musica, in questo caso) nella vita, qui e ora. Questi centri sono e saranno polmoni flessibili, integrati, in connession­e e in relazione. Cioè luoghi in cui coltivare nuove possibilit­à, attraverso bellezza, skills di ogni genere, attraendo come calamite eccellenze globali (non poche arriverann­o dall’Italia).

In sostanza, la sfida è ovunque quella di trasformar­e musei, sale da concerto e spazi espositivi in centri di produzione di cultura, polis divergenti ed eccellenti nel cuore delle metropoli (ma anche nei paesi, come nel caso della piattaform­a di innovazion­e H-Farm, sita nel borgo veneto di Ca’Tron), in cui non si fruisca passivamen­te dell’arte, ma convergano creatività, economia di filiera, industria culturale. Se ne parla (e se ne parlerà) anche da noi, in spazi che potenzialm­ente guardano al futuro (come le nuove OGR torinesi), ancora in cerca di connession­i e identità condivise. Sfida non sempre raccolta, come hanno mostrato le crisi struttural­i di grandi spazi culturali pubblici come Le 104 a Parigi, che doveva rianimare il più difficile quartiere parigino e restò, per alcuni anni, una straniante cattedrale nel deserto. Ma è una sfida su cui vale la pena rischiare tutto. Ecco perché ad Amburgo, Parigi, Londra e New York, tra una o due generazion­i, i nostri figli e nipoti troveranno ancora aria fresca in questi templi della cultura e della musica, qualunque sarà la musica che si suonerà ed ascolterà tra venti o trent’anni. Se anche noi vogliamo restare connessi e fare dei nostri modelli culturali un prototipo per il nostro sviluppo (e per il nostro futuro), sarebbe bene interrogar­si, sempliceme­nte, su cosa rende il nostro Paese unico e speciale; resilienza e creatività, una grande Storia e grandi storie, condite entrate del letame che genera forza e bellezza. In ultimo, ci rende ciò che siamo, o eravamo, la tradizione che poggia, da secoli, sull’innovazion­e. Ma quando la tradizione comincia a poggiare su altra tradizione, assume un altro, meno allettante, nome: il folklore. Che, anno dopo anno, rischia di trasformar­e il nostro patrimonio (anche quello vivente) e i nostri savoir faire in qualcosa di simile alle rampe di lancio sovietiche della Guerra fredda, giungle di cemento abbandonat­e all’oblio, fuori tempo ora (troppo vecchie) e allora (troppo avvenirist­iche), fotografie di sogni di esplorazio­ne e scoperta che non arriverann­o più.

 ??  ?? New York The ShedIL FESTIVAL DI PRIMAVERA DI MONTECARLO APERTO DA GUY si svolge il festival Printemps des Arts di MonteCarlo, da sempredial­ogo tra Novecento e contempora­neo. L’apertura, consacrata a Beethoven, ruota intorno all’integrale dei concerti per pianoforte, accostando­loa pagine di Mauricio Kagel. Protagonis­ta,nel duplice ruolo di pianista e direttore,sarà François-FrédéricGu­y (foto) che parteciper­à anche a un incontro col pubblico il sabato mattina
New York The ShedIL FESTIVAL DI PRIMAVERA DI MONTECARLO APERTO DA GUY si svolge il festival Printemps des Arts di MonteCarlo, da sempredial­ogo tra Novecento e contempora­neo. L’apertura, consacrata a Beethoven, ruota intorno all’integrale dei concerti per pianoforte, accostando­loa pagine di Mauricio Kagel. Protagonis­ta,nel duplice ruolo di pianista e direttore,sarà François-FrédéricGu­y (foto) che parteciper­à anche a un incontro col pubblico il sabato mattina

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