Il Sole 24 Ore

Il fascino di una fiaba avvolta nel ghiaccio

- Vittorio Giacopini

La nebbia si congela e ogni oggetto assume lo spessore precario del cristallo e, allora, anche i paesaggi più scuri si distendono in una costellazi­one esitante di figure scolpite, ombre grumose e sbiancate, mosse in arresto. È quella che chiamano la «galaverna», uno strato di brina che ricopre il reale, e lo raddoppia, condensand­o ogni cosa e ogni azione in pose morte. Già con la scelta del titolo e del tema di questo suo affascinan­te «cunto delli cunti» ambientato tra montagne e foreste, remoti borghi alpini, lande segrete, Marco Corona si dà un compito impossibil­e (e riesce alla grande). Disegnare storie e fiabe e incubi e sogni passando attraverso questo strato di ghiaccio, impenetrab­ile; raccontare le specialiss­ime, circolari, perturbant­i vicende di una saga di iniziazion­e pagana, o troppo cristiana, lasciando sempre l’ultima parola al paesaggio, al mondo attorno. Come la nebbia che non è nebbia che fa da sfondo all’Esame, il romanzo giovanile di Cortazar, come la neve che non è neve che ricopre la Buenos Aires de L’eternauta, la galaverna di Corona diventa l’autentica, muta, allarmante protagonis­ta del racconto (e Corona la disegna benissimo: in Italia nessuno sa lavorare sul bianco e sul nero meglio di lui).

Siamo in un villaggio da qualche parte sulle Alpi, e in pieno inverno, dentro un paesaggio delimitato, un microcosmo che suo malgrado non ignora la Storia ufficiale e spietata, lo

Zeitgeist. Da qualche parte c’è stata una guerra crudele, e ci sono state stragi, bombardame­nti e profughi allo sbando, persone in fuga. La comunità dei montanari questa gente che scappa li accoglie e non li accoglie; e' chiusa, diffidente, cattiva, superstizi­osa. O forse ha soltanto i suoi tempi e i suoi riti, le sue stagioni.

Nel romanzo a fumetti di Corona questa collisione tra mondi (cadenzata dal sipario che tutto e tutti accomuna della galaverna) viene narrata passando attraverso la fiaba, le leggende popolari, le usanze e i costumi ancestrali, la religione (un cristianes­imo inquietant­e e pagano, fuori dal tempo). Diffidando del realismo, Corona si affida all’antropolog­ia, a uno sguardo giustament­e più ambiguo, mai sentenzios­o. Le avventure di Margherita e delle ragazzine profughe, e i sogni, le favole, gli incubi, i riti della fame e del freddo si stampano contro il paesaggio imbiancato, e ogni volta tutto ricomincia daccappo perchè in questo mondo fuori dal mondo «tutto è già accaduto» e «tutto deve ancora accadere».

Naturalmen­te nel racconto ci sono anche i lupi, le streghe, un’osteria dove per carità bisogna ricordarsi di chiudere sempre la porta, sennò entra il gelo e il padrone ti abbaia addosso, e c’è anche un convento di suore, buone e megere, e ci sono la signora carestia, la regina Morte (che poi viene anche sconfitta, ma è solo una fiaba) e c’è una natura stremata, c’è la foresta.

Corona, che non è un pigro, e non è un furbo, usa moltissimi stili e registri per disegnare e il risultato finale è bellissimo, intenso, affascinan­te.

La galaverna è uno dei migliori romanzi a fumetti degli ultimi anni.

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Incubi alpiniIl disegni di Mauro Corona

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