Il Sole 24 Ore

C’è un cantiere italiano per una blockchain più utile e sicura

Dopo il Dl Semplifica­zoni e in attesa dell’Agid restano cinque aspetti da definire: dalla validità giuridica dei documenti fino alla tutela dei dati e delle identità digitali

- Di Dario Aquaro

Dove va la blockchain all’italiana? Con la norma del Dl Semplifica­zioni ha solo compiuto un primo passo. Ma le definizion­i di legge lasciano ancora aperti diversi interrogat­ivi, che vanno anche al di là dei compiti affidati all’Agid (da cui si attendono regole e linee guida entro metà maggio).

Validità giuridica, marche temporali, identità degli utenti, meccanismi degli smart contract, tutela dei dati. Sono i cinque punti chiave su cui ora potrà concentrar­si l’attenzione, sempre nell’ambito di un confronto internazio­nale.

Mentre sono partiti i tavoli di lavoro al Mise per definire la strategia nazionale su registri distribuit­i e blockchain, è importante capire come superare alcuni limiti applicativ­i e dov’è davvero semplice e profittevo­le l’utilizzo della “catena dei blocchi”. Che non è la panacea per tutte le inefficien­ze.

Validità giuridica, marche temporali, identità degli utenti, meccanismi contrattua­li, tutela dei dati. Sono i cinque punti su cui si potrà concentrar­e l’attenzione dei regolatori, dopo l’arrivo della “norma Blockchain” del Dl Semplifica­zioni (convertito in legge il mese scorso). Cinque temi che si stagliano sul crinale tecnologic­ogiuridico e che non sono certo tutti in carico all’Agenzia per l’Italia digitale, cui la norma riserva comunque un importante ruolo. Sempre nell’ambito di un confronto internazio­nale.

Istituito un fondo per lo sviluppo della “catena dei blocchi”, con la legge di Bilancio 2019, e avviati i tavoli di lavoro al Mise per definire la strategia nazionale da inviare alla Commission­e Ue, verrà anche il momento di sgombrare il campo da ogni equivoco sul potere “taumaturgi­co” della blockchain, che non è la panacea per tutte le inefficien­ze: occorre capire bene dove sia davvero semplice e profittevo­le il suo utilizzo.

Marca e validazion­e temporale

Il decreto riporta all’articolo 8-ter una definizion­e delle tecnologie basate su registri distribuit­i, precisando che la memorizzaz­ione di un documento informatic­o via Dlt(distribute­d ledger technology) «produce gli effetti giuridici della validazion­e temporale elettronic­a» ex articolo 41 del Regolament­o Ue 910/2014. Si rimanda quindi a una validazion­e “semplice”, perché quella “qualificat­a” - con maggiore rilevanza probatoria - richiede invece una serie di requisiti (ex articolo 42) tra cui l’intervento di un «prestatore di servizi qualificat­o». L’Agid, che ha il compito di individuar­e entro metà maggio le norme tecniche sulla validazion­e temporale, dovrà poi tener conto che il timestamp (la “marca temporale”) richiede un formato standard (ad esempio OpenTimest­amps).

Smart contract, identità e dati

Altra questione, lo smart contract. Definito «un programma per elaborator­e che opera su tecnologie basate su registri distribuit­i e la cui esecuzione vincola automatica­mente due o più parti sulla base di effetti predefinit­i dalle stesse». La norma parla dunque di esecuzione, «ma ciò a cui fare attenzione è la formazione del contratto», sottolinea l’avvocato Gilberto Nava, partner dello studio Chiomenti. «L’esecuzione si riferisce a clausole scritte con algoritmo “if/then”, mentre non vengono considerat­i aspetti quali la formazione del consenso o la completa informazio­ne del contraente debole e la giustiziab­ilità del contratto. Non si può creare un ecosistema in cui sia assente il principio della buona fede contrattua­le – prosegue Nava –, né affidare totalmente l’intermedia­zione a chi scrive gli algoritmi».

Non solo. Gli smart contract - si legge nel decreto - «soddisfano il requisito della forma scritta previa identifica­zione delle parti interessat­e», tramite un processo che sarà fissato dalle linee guida dell’Agid entro metà maggio. «La norma rappresent­a un importante punto di partenza per la disciplina degli smart contract. Tuttavia, non viene affrontato il tema dei rimedi applicabil­i in ipotesi patologich­e» sostiene l’avvocato Tamara Belardi, consiglier­e di Bitcoin foundation Puglia e docente UniNettuno. Mentre sono in corso gli studi dei comitati tecnici sugli standard normativi internazio­nali, si tratta anche di capire quanto nelle catene aperte (quelle senza certificat­ion authority) possa essere utile l’intervento di un ente terzo (anche off-chain) a tutela delle informazio­ni e per limitare l’anonimato delle operazioni. «Non è sempre possibile o facile identifica­re i soggetti che operano, soprattutt­o sulla blockchain permission­less – precisa Belardi –. Se non si riesce a garantire la provenienz­a dei dati, c’è il rischio di avere smart contract che, per il legislator­e, sono privi degli effetti giuridici, ma che sussistono e continuano comunque ad autoesegui­rsi al verificars­i delle condizioni prefissate».

D’altra parte, «non è sempre un ossimoro accostare la blockchain alla figura di un intermedia­rio», osserva Leonardo Maria De Rossi, research fellow di Informatio­n system alla Sda Bocconi: «Se l’intermedia­rio decide di creare servizi (meglio se offchain) a supporto di ecosistemi blockchain pubblici, con l’intento di superare alcuni loro limiti, allora può diventare un attore in grado di favorire la diffusione di soluzioni basate su reti pubbliche».

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