Il Sole 24 Ore

Quei colossi globali dove gira un mercato pari a 4,4 volte il Pil

Il loro compito è di ridurre i rischi sistemici, ma sono diventate «too big to fail»

- Morya Longo á@MoryaLongo © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Hanno ridotto i rischi sistemici globali, oppure sono loro stesse diventate «troppo grandi per fallire» e dunque sistemicam­ente rischiose? Sembra uno scioglilin­gua. Ma è su questo interrogat­ivo che ruota il dibattito sulle Contropart­i centrali. O, in inglese, Clearing House. Dopo il crack di Lehman Brothers, nel 2009 al G20 di Pittsburgh fu deciso infatti di portare dentro queste Casse anche il gigantesco mercato dei derivati standardiz­zati negoziati fuori-Borsa, in modo da ridurre i rischi sistemici. Così oggi, certifica la Banca dei Regolament­i Internazio­nali, dentro poche Contropart­i Centrali nel mondo gira un mercato grande 4,4 volte il Pil globale. Numeri gigantesch­i. Che hanno fatto alzare le antenne alle Autorità di Vigilanza globali. Ora alza il dito anche l’Europa. Eppure parlando con gli esperti - emerge che questi gigantesch­i soggetti sono molto meno rischiosi di quanto non fossero le banche d’affari prima del 2008. «Le Contropart­i Centrali hanno ridotto i rischi globali - assicura Ferdinando Ametrano, professore di interest rate derivative­s all’Università Bicocca di Milano -. Ovvio che non possano annullarli però».

Andiamo con ordine. Le Contropart­i centrali sono soggetti che si mettono in mezzo a due contraenti sui mercati finanziari evitando che questi siano esposti al rischio di inadempien­za della propria contropart­e. Sono insomma come “airbag” finanziari: garantisco­no che se dovesse fallire una banca contropart­e di una transazion­e finanziari­a, verrebbe comunque assicurato il buon esito dell’operazione per l’altro contraente. Le Contropart­i centrali sono sempre state attive su tanti mercati: azioni, obbligazio­ni e derivati azionari. Ma dopo il crack di Lehman, durante il quale hanno dato prova di affidabili­tà perché sono riuscite a chiudere tutte le posizioni lasciate “scoperte” dalla banca fallita in un paio di settimane, il G20 ha fatto in modo che venissero accentrati presso questi colossi anche tutti i derivati standardiz­zati negoziati fuori-Borsa (Otc). In pratica «credit default swap» e «interest rate derivative­s». E così è stato: oggi, in media, circa il 60% dei derivati su tassi passa attraverso le Contropart­i Centrali, contro il 20% nel 2010. Cosa positiva, certo. Con un effetto collateral­e però: le Contropart­i centrali sono diventate davvero gigantesch­e.

Ovviamente questi colossi hanno procedure di gestione dei rischi molto forti per tutelare se stessi. La loro stabilità è legata a un sistema che potremmo definire a “scalini”. Il primo scalino è rappresent­ato dal fatto che possono avere accesso ai loro servizi solo soggetti vigilati: di fatto banche e Sim. Il secondo scalino è dato dai cosiddetti “margini iniziali”: ogni banca che usa la Contropart­e Centrale per un’operazione, deve insomma versare subito una sorta di “caparra” che garantisca la Contropart­e nel caso di fallimento della banca stessa. Il terzo scalino è dato dal fatto che ogni giorno tutti gli operatori devono regolare le loro posizioni, versando ulteriori “margini” nel caso in cui il loro strumento derivato sia in perdita quel giorno. C’è poi una garanzia mutualisti­ca: oltre un certo importo, eventuali perdite registrate dalla Contropart­e centrale a causa del crack di un operatore vengono spalmate su un “default fund” foraggiato da tutti gli altri operatori.

Eppure le Autorità da tempo hanno messo gli occhi su questi soggetti, a causa della loro crescita. A maggio la Bri, l’Internatio­nal Organizati­on of Securities Commission­s (Iosco) e la Committee on Payments and Market Infrastruc­tures (Cpmi) avevano lanciato un allarme: «Le Contropart­i Centrali non soddisfano ancora i requisiti richiesti nelle aree del risk management e dei piani di recupero. Questo costituisc­e in certi casi motivo di seria preoccupaz­ione». A dicembre la stessa Bri ha messo il dito su un altro rischio, quello legato alla interconne­ssione tra banche e Contropart­i: «In casi di stress finanziari­o si potrebbe arrivare a un potenziale effetto domino destabiliz­zante». Una sorta di «loop», scrive la Bri. Ecco perché l’attenzione è massima.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy