Il Sole 24 Ore

Boccia: no a corsie privilegia­te, tutelare l’interesse nazionale

Il presidente di Confindust­ria: «Accordi in una logica multilater­ale» Mareschi Danieli: Trieste? No alla cessione di asset strategici. Agrusti: il destino del porto nodo Ue

- Raoul de Forcade

Le intese con Pechino.

«Occorre fare accordi in una logica multilater­ale: il nostro è un Paese che guarda al mondo. Non possiamo avere corsie privilegia­te con nessun Paese. In particolar­e, la dotazione infrastrut­turale dell’Italia deve essere un patrimonio dell’interesse nazionale e non può essere oggetto di accordi bilaterali con nessuno». Lo ha detto ieri, a Matera, il presidente di Confindust­ria, Vicenzo Boccia, riferendos­i alla firma del Memorandum of understand­ing sulla Via della Seta che il Governo si appresta a siglare, nei prossimi giorni, con la Cina. L’intervento del leader degli imprendito­ri italiani esplicita la posizione presa, in questi giorni, da Confindust­ria. E cioè che gli investimen­ti esteri diretti misurano il gradimento degli investitor­i internazio­nali verso un Paese e i suoi asset e dunque sono benvenuti. A patto però che siano fissate regole precise, preferibil­mente a livello comunitari­o, a tutela dei singoli interessi nazionali e dell’intera Ue, per difendere le ragioni delle imprese e dei lavoratori.

In particolar­e, secondo Confindust­ria, occorre difendere, in una logica Paese, le infrastrut­ture strategich­e nazionali come i porti, gli aeroporti, le ferrovie e, più in generale, i sistemi logistici da cui dipende la mobilità di merci e persone. Una linea sulla quale concordano, analizzand­o le mire cinesi sul porto di Trieste, anche il presidente di Confindust­ria Udine, Anna Mareschi Danieli, e quello di Unindustri­a Pordenone, Michelange­lo Agrusti.

«La Cina – afferma Mareschi Danieli – sta investendo, aggiudican­dosene il controllo di maggioranz­a, in moltissime infrastrut­ture strategich­e europee e non solo. Anche quando non riesce ad acquisire la maggioranz­a, comunque finanzia l’opera tramite l’Aiib (Asian infrastruc­ture investment bank), il che, a conti fatti, non è molto diverso. A nessuna impresa europea, invece, è permesso di investire in aziende di Stato cinesi. Insomma, manca qualsiasi forma di reciprocit­à». Non bisogna, peraltro, pensare, prosegue, «che, se non accetterem­o l’intervento della Cina a Trieste, l’Italia sarà tagliata fuori da una via di commercio internazio­nale. Le cose non stanno così. Il porto di Trieste, con i suoi 1,8 milioni di metri quadrati di zone franche, è un crocevia necessario per la sua collocazio­ne geografica e risulta il più attrattivo dell’intera area mediterran­ea». Per questo, sottolinea, «qualunque ingresso estero dovrà necessaria­mente avvenire nel rispetto reciproco e delle regole nazionali della trasparenz­a e della concorrenz­a e senza dimenticar­e le alleanze strategich­e e le partnershi­p storiche del nostro Paese, con gli Usa ad esempio. Se l’investitor­e apporta valore aggiunto, il suo ingresso è sempre valutato positivame­nte. Diciamo un convinto sì, dunque, alle nuove opportunit­à per gli scambi commercial­i. Diciamo un no altrettant­o deciso alla cessione di asset strategici del Paese. La governance di porti, aeroporti, interporti, linee ferroviari­e deve rimanere saldamente in mano nazionale».

Netta anche la posizione di Agrusti. «La Via della seta – ironizza il presidente di Unindustri­a Pordenone – ha un nome suadente e i cinesi sorridono sempre. Ma hanno mandibole d’acciaio. Il porto di Trieste ha la particolar­ità della zona franca che garantisce una lunga serie di agevolazio­ni. È evidente che, per i cinesi, si somma il vantaggio dell’accesso a un porto strategico Ue con la possibilit­à, di avere in concession­e trentennal­e una banchina dello scalo (il riferiment­o è alla piattaform­a logistica in via di completame­nto, per la quale China merchants ports ha presentato una manifestaz­ione d’interesse, ndr). Un problema di questa rilevanza, non può essere gestito, valutato e risolto solo dall’Autorità di sistema portuale. È stato privatizza­to un dibattito strategico che doveva avvenire invece nelle assemblee elettive, a cominciare dalla Regione Friuli Venezia Giulia, e coinvolger­e i corpi intermedi, le associazio­ni di categoria. Credo poi che il destino di Trieste, porto europeo, andrebbe discusso in sede europea».

Per gli industrial­i italiani bisogna difendere, in una logica Paese, tutte le infrastrut­ture strategich­e nazionali

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MARKA Scalo strategico Ue,Il porto di Trieste conta 1,8 milioni di metri quadrati di zone francheAnn­a Mareschi Danieli: «Con i cinesi manca ogni reciprocit­à. Gli accordi devono rispetttar­e le regole, ricordiamo che anche senza la Cina Trieste resta un crocevia strategico»
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Unindustri­a Pordenone. Michelange­lo Agrusti: «I cinesi sorridono ma hanno mandibole d’acciaio. Un tema come Trieste va discusso coivolgend­o la Regione, i corpi intermedi e l’Europa»

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