Boccia: no a corsie privilegiate, tutelare l’interesse nazionale
Il presidente di Confindustria: «Accordi in una logica multilaterale» Mareschi Danieli: Trieste? No alla cessione di asset strategici. Agrusti: il destino del porto nodo Ue
Le intese con Pechino.
«Occorre fare accordi in una logica multilaterale: il nostro è un Paese che guarda al mondo. Non possiamo avere corsie privilegiate con nessun Paese. In particolare, la dotazione infrastrutturale dell’Italia deve essere un patrimonio dell’interesse nazionale e non può essere oggetto di accordi bilaterali con nessuno». Lo ha detto ieri, a Matera, il presidente di Confindustria, Vicenzo Boccia, riferendosi alla firma del Memorandum of understanding sulla Via della Seta che il Governo si appresta a siglare, nei prossimi giorni, con la Cina. L’intervento del leader degli imprenditori italiani esplicita la posizione presa, in questi giorni, da Confindustria. E cioè che gli investimenti esteri diretti misurano il gradimento degli investitori internazionali verso un Paese e i suoi asset e dunque sono benvenuti. A patto però che siano fissate regole precise, preferibilmente a livello comunitario, a tutela dei singoli interessi nazionali e dell’intera Ue, per difendere le ragioni delle imprese e dei lavoratori.
In particolare, secondo Confindustria, occorre difendere, in una logica Paese, le infrastrutture strategiche nazionali come i porti, gli aeroporti, le ferrovie e, più in generale, i sistemi logistici da cui dipende la mobilità di merci e persone. Una linea sulla quale concordano, analizzando le mire cinesi sul porto di Trieste, anche il presidente di Confindustria Udine, Anna Mareschi Danieli, e quello di Unindustria Pordenone, Michelangelo Agrusti.
«La Cina – afferma Mareschi Danieli – sta investendo, aggiudicandosene il controllo di maggioranza, in moltissime infrastrutture strategiche europee e non solo. Anche quando non riesce ad acquisire la maggioranza, comunque finanzia l’opera tramite l’Aiib (Asian infrastructure investment bank), il che, a conti fatti, non è molto diverso. A nessuna impresa europea, invece, è permesso di investire in aziende di Stato cinesi. Insomma, manca qualsiasi forma di reciprocità». Non bisogna, peraltro, pensare, prosegue, «che, se non accetteremo l’intervento della Cina a Trieste, l’Italia sarà tagliata fuori da una via di commercio internazionale. Le cose non stanno così. Il porto di Trieste, con i suoi 1,8 milioni di metri quadrati di zone franche, è un crocevia necessario per la sua collocazione geografica e risulta il più attrattivo dell’intera area mediterranea». Per questo, sottolinea, «qualunque ingresso estero dovrà necessariamente avvenire nel rispetto reciproco e delle regole nazionali della trasparenza e della concorrenza e senza dimenticare le alleanze strategiche e le partnership storiche del nostro Paese, con gli Usa ad esempio. Se l’investitore apporta valore aggiunto, il suo ingresso è sempre valutato positivamente. Diciamo un convinto sì, dunque, alle nuove opportunità per gli scambi commerciali. Diciamo un no altrettanto deciso alla cessione di asset strategici del Paese. La governance di porti, aeroporti, interporti, linee ferroviarie deve rimanere saldamente in mano nazionale».
Netta anche la posizione di Agrusti. «La Via della seta – ironizza il presidente di Unindustria Pordenone – ha un nome suadente e i cinesi sorridono sempre. Ma hanno mandibole d’acciaio. Il porto di Trieste ha la particolarità della zona franca che garantisce una lunga serie di agevolazioni. È evidente che, per i cinesi, si somma il vantaggio dell’accesso a un porto strategico Ue con la possibilità, di avere in concessione trentennale una banchina dello scalo (il riferimento è alla piattaforma logistica in via di completamento, per la quale China merchants ports ha presentato una manifestazione d’interesse, ndr). Un problema di questa rilevanza, non può essere gestito, valutato e risolto solo dall’Autorità di sistema portuale. È stato privatizzato un dibattito strategico che doveva avvenire invece nelle assemblee elettive, a cominciare dalla Regione Friuli Venezia Giulia, e coinvolgere i corpi intermedi, le associazioni di categoria. Credo poi che il destino di Trieste, porto europeo, andrebbe discusso in sede europea».
Per gli industriali italiani bisogna difendere, in una logica Paese, tutte le infrastrutture strategiche nazionali