Modello Norvegia Plus, un compromesso con molte incognite
La soluzione “Norway Plus” ha fatto capolino più volte nelle interminabili trattative su Brexit: una relazione tra Londra e Unione europea come quella della Norvegia, con l’aggiunta della permanenza nell’unione doganale. Un modello visto dai suoi fautori come possibile via di uscita all’impasse, grazie al compromesso tra l’esigenza di abbandonare la Ue e i suoi vincoli, come sancito dal referendum, senza perdere alcuni dei principali vantaggi dell’appartenenza. La permanenza quantomeno temporanea nell’unione doganale fornirebbe poi anche una parziale soluzione alla questione del confine irlandese.
Le cose non sono in realtà così semplici. La Norvegia - che nel 1994 rifiutò di misura, con un referendum, l’ingresso nella Ue - è membro dell’Efta (l’Associazione europea di libero scambio, insieme a Svizzera, Islanda e Liechtenstein) e dell’Eea (lo Spazio economico europeo che, oltre ai 28 Stati Ue, comprende appunto tre Stati su quattro dell’Efta: Norvegia, Islanda e Liechtenstein). In virtù dell’appartenenza allo Spazio economico europeo, Oslo partecipa al mercato unico, con il vantaggio principale dell’abolizione dei dazi, che si accompagna, tuttavia, al rispetto delle quattro libertà fondamentali della Ue: libera circolazione, dunque, non solo di beni, servizi e capitali, ma anche delle persone. Un vincolo, quest’ultimo, che stride con uno dei cavalli di battaglia dei sostenitori di Brexit, la stretta sull’immigrazione, anche dai Paesi Ue.
Secondo elemento difficile da digerire per i Brexiter sono i risparmi che l’uscita dalla Ue dovrebbe garantire. I Paesi dello Spazio economico europeo sono infatti chiamati a contribuire al budget Ue (in particolare ai fondi di coesione) e il contributo netto della Norvegia è stato stimato tra i 110 e i 115 euro annui pro capite, non molto inferiore a quello attuale del Regno Unito.
Infine ci sono gli aspetti normativi. Come membro dello Spazio economico europeo, la Norvegia ha assimilato circa il 75% delle leggi europee, seppure con eccezioni rilevanti in materia di politica agricola e pesca. Il tutto senza che Oslo su queste normative possa dire la sua, visto che non ha diritto di voto al Consiglio europeo e non ha eurodeputati o commissari europei.
Se comunque Londra decidesse di percorrere il modello “Norway Plus”, il percorso non sarebbe necessariamente senza intoppi. Dovrebbe prima rientrare nell’Efta (da cui era uscita nel 1973, con l’adesione alla Comunità economica europea) e ottenere perciò il via libera dei membri attuali che - Norvegia in testa - non sembrano così entusiasti di accogliere un’economia di quelle dimensioni e un Paese che, con la sua tradizionale ritrosia ad accettare regole imposte da altri, potrebbe ostacolare il costante processo di adeguamento della legislazione Efta alle normative europee. Superato questo scoglio, infine, la modifica dello Spazio economico europeo, con l’inclusione della Gran Bretagna, dovrebbe essere ratificata dai Parlamenti di tutti e 27 gli Stati Ue. Un iter lungo e forse non indolore.