Il Sole 24 Ore

Modello Norvegia Plus, un compromess­o con molte incognite

- —Michele Pignatelli

La soluzione “Norway Plus” ha fatto capolino più volte nelle interminab­ili trattative su Brexit: una relazione tra Londra e Unione europea come quella della Norvegia, con l’aggiunta della permanenza nell’unione doganale. Un modello visto dai suoi fautori come possibile via di uscita all’impasse, grazie al compromess­o tra l’esigenza di abbandonar­e la Ue e i suoi vincoli, come sancito dal referendum, senza perdere alcuni dei principali vantaggi dell’appartenen­za. La permanenza quantomeno temporanea nell’unione doganale fornirebbe poi anche una parziale soluzione alla questione del confine irlandese.

Le cose non sono in realtà così semplici. La Norvegia - che nel 1994 rifiutò di misura, con un referendum, l’ingresso nella Ue - è membro dell’Efta (l’Associazio­ne europea di libero scambio, insieme a Svizzera, Islanda e Liechtenst­ein) e dell’Eea (lo Spazio economico europeo che, oltre ai 28 Stati Ue, comprende appunto tre Stati su quattro dell’Efta: Norvegia, Islanda e Liechtenst­ein). In virtù dell’appartenen­za allo Spazio economico europeo, Oslo partecipa al mercato unico, con il vantaggio principale dell’abolizione dei dazi, che si accompagna, tuttavia, al rispetto delle quattro libertà fondamenta­li della Ue: libera circolazio­ne, dunque, non solo di beni, servizi e capitali, ma anche delle persone. Un vincolo, quest’ultimo, che stride con uno dei cavalli di battaglia dei sostenitor­i di Brexit, la stretta sull’immigrazio­ne, anche dai Paesi Ue.

Secondo elemento difficile da digerire per i Brexiter sono i risparmi che l’uscita dalla Ue dovrebbe garantire. I Paesi dello Spazio economico europeo sono infatti chiamati a contribuir­e al budget Ue (in particolar­e ai fondi di coesione) e il contributo netto della Norvegia è stato stimato tra i 110 e i 115 euro annui pro capite, non molto inferiore a quello attuale del Regno Unito.

Infine ci sono gli aspetti normativi. Come membro dello Spazio economico europeo, la Norvegia ha assimilato circa il 75% delle leggi europee, seppure con eccezioni rilevanti in materia di politica agricola e pesca. Il tutto senza che Oslo su queste normative possa dire la sua, visto che non ha diritto di voto al Consiglio europeo e non ha eurodeputa­ti o commissari europei.

Se comunque Londra decidesse di percorrere il modello “Norway Plus”, il percorso non sarebbe necessaria­mente senza intoppi. Dovrebbe prima rientrare nell’Efta (da cui era uscita nel 1973, con l’adesione alla Comunità economica europea) e ottenere perciò il via libera dei membri attuali che - Norvegia in testa - non sembrano così entusiasti di accogliere un’economia di quelle dimensioni e un Paese che, con la sua tradiziona­le ritrosia ad accettare regole imposte da altri, potrebbe ostacolare il costante processo di adeguament­o della legislazio­ne Efta alle normative europee. Superato questo scoglio, infine, la modifica dello Spazio economico europeo, con l’inclusione della Gran Bretagna, dovrebbe essere ratificata dai Parlamenti di tutti e 27 gli Stati Ue. Un iter lungo e forse non indolore.

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