O’Rourke, dal profondo Sud la sfida dei democratici
L’ex deputato, già musicista rock, si candida per il 2020 con un programma liberal
Dal nostro corrispondente Si sente un predestinato. «Sono nato per questo e farò tutto ciò che è umanamente possibile per il mio paese», dice Beto O’ Rourke a chi gli chiede perché ha deciso di candidarsi nella corsa per la Casa Bianca. La sconfitta con Ted Cruz nella roccaforte repubblicana del Texas per un posto da senatore, alla fine di un lungo testa a testa, con un fundraising da record – 80 milioni raccolti tutti con piccole donazioni - non ha cambiato niente. Dopo la batosta al mid-term, l’ex deputato dem Robert Francis O’ Rourke, per tutti Beto – equivalente spagnolo del diminutivo Bob – ha girato l’America rurale, quella che vota Trump. Ha ascoltato migliaia di persone, si era fatto crescere la barba da hypster e non ha perso l’entusiasmo dei suoi anni. Figlio di quella generazione X cresciuta a Star Wars, skateboard e punk-rock.
Uomo del sud, ma di origini irlandesi, un passato da bassista e batterista, Beto, 46 anni, è la stella nascente del partito. Viene da El Paso, città texana al confine con il Messico finita alla ribalta per il muro di Trump. Con poca modestia quando gli chiedono se non ha timore di candidarsi da sconfitto, si paragona ad Abramo Lincoln che, come lui, perse un seggio al Senato prima di vincere le elezioni e diventare uno dei più grandi presidenti della storia.
Il messaggio che contrappone a Trump è quello dell’ottimismo, di un’America globale e locale, che non ha bisogno di muri. Beto è un politico nato e cresciuto sui social network, un populista democratico che ama il palco e conquista il pubblico. Nel video con cui annuncia la candidatura, dal salotto di casa, la moglie Amy seduta accanto sul divano che lo guarda sorridente con gli occhi sgranati, dice che si batterà per i cambiamenti climatici. Gli altri punti del programma sono la sanità pubblica per tutti, la riforma dell’immigrazione, una legge che limiti il possesso delle armi e, in definitiva, una visione dell’America con «un governo che sia di tutti e non solo delle corporation».
Trump di lui dice che «ha un nome che si ricorda». Dopo aver visto il video ha criticato il linguaggio del suo corpo: «Muove tanto le mani. Non so se è pazzo o se si muove proprio così».
L’arena dei candidati per la nomination democratica alle elezioni presidenziali del 2020 è già affollata. Dalla sua, il candidato texano ha il fatto che è bianco, giovane ed è una figura che potrebbe funzionare per il partito, con l’endorsement già arrivato da Barack Obama: «È impressionante». Contro ha una serie di pezzi da novanta del partito. Primo tra tutti il “vecchio” Bernie Sanders che a Brooklyn qualche settimana fa davanti a un popolo sterminato di millennial, non spaventati né dal freddo né dalla neve, ha annunciato la sua seconda candidatura con uno slogan che dice tutto: “Not Me. Us”. E poi Elizabeth Warren, la professoressa che vuol tassare la finanza. I candidati centristi, come l’ex procuratore della California Kamala Harris, la senatrice del Minnesota Amy Klobuchar, l’afroamericano del New Jersey Cory Booker, l’ispanico Julian Castro, il più giovane ministro di Obama. Kirsten Gillibrand e Bill De Blasio ancora in forse. Fino all’ultimo candidato eccellente, l’ex vice presidente Joe Biden che teme la popolarità di questo “bravo ragazzo”. E che pochi giorni fa davanti a un gruppo di vigili del fuoco, in attesa di rompere gli indugi, è stato salutato da striscioni diventati virali: “Run Joe, run”. Come a dire: buttati nella mischia Joe, noi ti seguiamo.
Beto non ha paura. Lo sguardo fiero, il sorriso stampato da giovane Kennedy: «Sarà un momento decisivo di verità per questo paese e per ognuno di noi». Da un palco all’altro. Dal punk-rock alla corsa per la Casa Bianca.