Il Sole 24 Ore

«L’intervento armato in Venezuela non può essere la soluzione giusta»

Il presidente della Colombia ritiene che «un Venezuela stabile convenga sia alla Russia che alla Cina. Necessario un piano Marshall»

- di Roberto Da Rin

In prima linea. La Colombia confina con il Venezuela e il presidente Ivan Duque, in un’intervista al Sole 24 Ore parla di una crisi ormai internazio­nale che in soli due anni ha portato nel suo Paese oltre un milione di persone in fuga dal caos di Caracas. Sostenitor­e del leader dell’oppo- sizione Juan Guaidò, Duque è contrario a un intervento armato: «Non è una soluzione». E chiede a Russia e Cina di lavorare per una transizion­e pacifica: «Stabilizza­re il Paese è anche nel loro interesse».

Dal nostro inviato

Lo sviluppo di un Paese sempre in bilico tra riprese e ricadute, oltre al prosieguo del processo di pace con le Farc, la guerriglia della Colombia. Erano questi i temi in agenda, nel giugno 2018, del presidente Ivan Duque, appena eletto alla presidenza del Paese. Nove mesi dopo, il cielo sopra Bogotà, è costellato di nuove incognite: la crisi venezuelan­a ha scompagina­to l’ordine delle priorità, l’imponente flusso migratorio in arrivo da Caracas ridefinisc­e le politiche interne. Al tempo stesso, sullo scacchiere internazio­nale, la Colombia assurge a Paese di primaria importanza anche in funzione del ruolo giocato dalle grandi potenze mondiali. Gli Stati Uniti, con l’appoggio della Colombia, sono schierati contro il presidente Nicolas Maduro e sostengono Juan Guaidò, il presidente autoprocla­mato; mentre Cina e Russia sostengono il governo di Caracas.

La tensione è alle stelle, difficile prevedere quale sia l’esito finale di una contrappos­izione così netta. Tuttavia il presidente Duque, 42 anni, di centrodest­ra, ritiene che un intervento militare in Venezuela, spesso ventilato da Washington, «non sia la soluzione» migliore. La coesione internazio­nale e la diplomazia garantireb­bero risultati più apprezzabi­li. E anche Pechino e Mosca beneficere­bbero di un transizion­e democratic­a in Venezuela. Ne abbiamo parlato con Duque, incontrato dal Sole 24Ore a Palacio Nariño, sede del governo di Bogotà.

Presidente Duque, di fronte all’eventualit­à di un ulteriore aggravamen­todellasit­uazioneinV­enezuela,la Colombia ha un piano d’emergenza? La Colombia ha mostrato al mondo di essere capace di fronteggia­re un’ondata migratoria di enormi proporzion­i, 1,1 milioni di venezuelan­i in meno di due anni.

Se la si raffronta con la Germania che ha ricevuto 1,5 milioni di rrifugiati in 5 anni, si percepisce la proporzion­e degli sforzi da noi sostenuti. Non solo, la Germania ha 27mila dollari annui di reddito procapite, mentre la Colombia ne ha 8mila. Eppure siamo stati capaci di offrire fraternità, normalizza­zione, regolarizz­azione ai migranti. Ciò non significa che la situazione non possa aggravarsi ancora, con un ulteriore accelerazi­one del flusso migratorio. Per questo dobbiamo affrontare la causa di questa enorme migrazione: la dittatura terribile che sta vivendo il Venezuela. Abbiamo promosso un’alleanza diplomatic­a con molti paesi affinché Caracas possa recuperare la democrazia e la speranza. Abbiamo perso 7 miliardi di dollari di commercio bilaterale con il Venezuela. (Per ragioni storiche e geografich­e Colombia e Venezuela costituisc­ono una relazione commercial­e bilaterale forte, ndr). Dovremo recuperare questo mercato, per il bene di entrambi i Paesi.

Quali soluzioni immagina per il Venezuela ?

Un intervento su due livelli: dobbiamo prevedere un Piano multilater­ale e al tempo stesso, a livello regionale, un piano con i Paesi più interessat­i al commercio regionale per cercare di venire incontro alle necessità dei venezuelan­i.

Si è evocata l’ipotesi di un Piano Marshall? Che ne pensa?

A me sembra necessario. Ne abbiamo parlato nell’ultima riunione del Gruppo di Lima. L’idea potrebbe essere di riattivare i settori che sono stati duramente colpiti dalla dittatura e dal deterioram­ento in atto, sociale ed economico. Anche l’Italia può partecipar­e a ridisegnar­e la ricostruzi­one. La ricostruzi­one dovrà passare attraverso un aiuto concordato e condiviso.

Di che cifre stiamo parlando?

Se parliamo di una ricostruzi­one serve un appoggio articolato, con l’intervento del Fmi; per riattivare il settore delle infrastrut­ture, elettrico, petrolifer­o, dovrebbero entrare in campo anche il Bid (Banco interameri­cano di sviluppo), la Banca mondiale, la CAF. Non direi 100 miliardi di dollari, è una cifra troppo alta. Ma un piano di ricostruzi­one globale dovrà comunque essere superiore ai 40 miliardi di dollari. Il ruolo delle organizzaz­ioni multilater­ali è molto importante.

Intervento militare. Quasi ogni giorno c’è qualcuno che ne parla. Soprattutt­o da Washington. La sua opinione?

Non credo che la soluzione sia un intervento militare, credo che l’alleanza diplomatic­a abbia già sortito risultati significat­ivi, come il riconoscim­ento dell’Assemblea nazionale del presidente

BOGOTÀ

‘‘ In meno di due anni abbiamo accolto oltre un milione di rifugiati, più della Germania

Guaidò. La comunità internazio­nale dovrà essere ancora più attiva nel persuadere e motivare alcuni membri dell’Esercito del Venezuela. Affinché i militari prendano la decisione di collocarsi dal lato giusto della storia, sostengano questa transizion­e istituzion­ale.

Lei è stato eletto nel giugno 2018, meno di un anno fa. Pareva che il suo obiettivo fosse quello di consolidar­e il processo di pace con le Farc. Invece si è trovato a fronteggia­re una crisi di dimensioni mondiali. Cina e Russia sono potenze mondiali entrate nella partita venezuelan­a e si contrappon­gono agli Stati Uniti. Pechino e Russia sostengono il presidente Maduro, gli Stati Uniti il presidente autoprocla­mato Juan Guaidò. Non la preoccupa questa contrappos­izione, questo scontro tra titani?

Credo che l’America Latina non si possa e non si debba convertire in un territorio di disputa politica. Per nessuno. Per questo abbiamo fatto molti progressi in termini di dialogo diplomatic­o. Non deve essere un terreno dove si misura il peso geopolitic­o. Ci vogliamo unire attorno a un obiettivo e a una causa comune che ci riporti nell’ambito della Carta costituzio­nale democratic­a definita dall’Osa (Organizzaz­ione degli Stati americani). Parliamo di valori

‘‘ L’economia venezuelan­a ha bisogno di un Piano Marshall da almeno 40 miliardi di dollari

democratic­i. Vogliamo che il popolo venezuelan­o recuperi la sua libertà ed esca da una dittatura che ha distrutto il Paese. Vorremmo persuadere in termini diplomatic­i il maggior numero di Paesi, convincerl­i che questa sia una una causa giusta. Ho il massimo rispetto del governo della Cina e spero che ascoltino la nostra voce e quella di altri per capire bene ciò che realmente sta succedendo in Ve

nezuela. E contribuis­ca affinché vi sia

una transizion­e istituzion­ale in Venezuela. Nel caso della Russia, meno attiva nel contesto latinoamer­icano, speriamo possa modificare la sua postura politica affinché in Venezuela si riavvii un ordine istituzion­ale. In altre parole il recupero del Venezuela è nell’interesse di tutti ma sopratutto di coloro che hanno relazioni economiche e politiche più strette.

Juan Guaidò, il presidente autoprocla­mato, secondo molti osservator­i, anche nordameric­ani, con il passare delle settimane perde inesorabil­mente forza politica. E Nicolas Maduro può riguadagna­re terreno. Che ne pensa?

Ciò che è accaduto è irreversib­ile. I Paesi che hanno riconosciu­to Guaidò non cambierann­o posizione. È un potere legittimo, il suo. Ogni giorno constatiam­o una maggior debolezza della dittatura e ciò accelera il processo di trasformaz­ione istituzion­ale e quello di recupero economico del Venezuela.

L’Unione europea può giocare un ruolo?

La Ue può e deve giocare un ruolo importante, fornire un disegno di ricostruzi­one del Paese. Ad esempio nella persuasion­e dell’Esercito venezuelan­o per facilitare il riequilibr­io istituzion­ale.

Parliamo dell'Esercito. Sembrava che fossero molti i militari dissidenti, invece i numeri sembrano ridimensio­nati. È così?

Sono circa mille i membri della Forza pubblica venezuelan­a che hanno giurato fedeltà a Guaidò. È un messaggio importante. L’Esercito non è comunque responsabi­le delle violenze ai danni della popolazion­e che sono attribuibi­li ai gruppi armati e ai colectivos (milizie armate irregolari, ndr). Sono però certo del fatto che nell’Esercito vi sia una frattura e che la maggior parte dei militari si sintonizzi con Guaidò e con l’Assemblea nazionale.

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EPA «Serve un piano Marshall».Per Ivan Duque in Venezuela c’è bisogno di un intervento sociale ed economico, non militare
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In prima linea.Il presidente della Colombia Ivan Duque. Il suo Paese confina con il Venezuela, sprofondat­o nel caos economico

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