«L’intervento armato in Venezuela non può essere la soluzione giusta»
Il presidente della Colombia ritiene che «un Venezuela stabile convenga sia alla Russia che alla Cina. Necessario un piano Marshall»
In prima linea. La Colombia confina con il Venezuela e il presidente Ivan Duque, in un’intervista al Sole 24 Ore parla di una crisi ormai internazionale che in soli due anni ha portato nel suo Paese oltre un milione di persone in fuga dal caos di Caracas. Sostenitore del leader dell’oppo- sizione Juan Guaidò, Duque è contrario a un intervento armato: «Non è una soluzione». E chiede a Russia e Cina di lavorare per una transizione pacifica: «Stabilizzare il Paese è anche nel loro interesse».
Dal nostro inviato
Lo sviluppo di un Paese sempre in bilico tra riprese e ricadute, oltre al prosieguo del processo di pace con le Farc, la guerriglia della Colombia. Erano questi i temi in agenda, nel giugno 2018, del presidente Ivan Duque, appena eletto alla presidenza del Paese. Nove mesi dopo, il cielo sopra Bogotà, è costellato di nuove incognite: la crisi venezuelana ha scompaginato l’ordine delle priorità, l’imponente flusso migratorio in arrivo da Caracas ridefinisce le politiche interne. Al tempo stesso, sullo scacchiere internazionale, la Colombia assurge a Paese di primaria importanza anche in funzione del ruolo giocato dalle grandi potenze mondiali. Gli Stati Uniti, con l’appoggio della Colombia, sono schierati contro il presidente Nicolas Maduro e sostengono Juan Guaidò, il presidente autoproclamato; mentre Cina e Russia sostengono il governo di Caracas.
La tensione è alle stelle, difficile prevedere quale sia l’esito finale di una contrapposizione così netta. Tuttavia il presidente Duque, 42 anni, di centrodestra, ritiene che un intervento militare in Venezuela, spesso ventilato da Washington, «non sia la soluzione» migliore. La coesione internazionale e la diplomazia garantirebbero risultati più apprezzabili. E anche Pechino e Mosca beneficerebbero di un transizione democratica in Venezuela. Ne abbiamo parlato con Duque, incontrato dal Sole 24Ore a Palacio Nariño, sede del governo di Bogotà.
Presidente Duque, di fronte all’eventualità di un ulteriore aggravamentodellasituazioneinVenezuela,la Colombia ha un piano d’emergenza? La Colombia ha mostrato al mondo di essere capace di fronteggiare un’ondata migratoria di enormi proporzioni, 1,1 milioni di venezuelani in meno di due anni.
Se la si raffronta con la Germania che ha ricevuto 1,5 milioni di rrifugiati in 5 anni, si percepisce la proporzione degli sforzi da noi sostenuti. Non solo, la Germania ha 27mila dollari annui di reddito procapite, mentre la Colombia ne ha 8mila. Eppure siamo stati capaci di offrire fraternità, normalizzazione, regolarizzazione ai migranti. Ciò non significa che la situazione non possa aggravarsi ancora, con un ulteriore accelerazione del flusso migratorio. Per questo dobbiamo affrontare la causa di questa enorme migrazione: la dittatura terribile che sta vivendo il Venezuela. Abbiamo promosso un’alleanza diplomatica con molti paesi affinché Caracas possa recuperare la democrazia e la speranza. Abbiamo perso 7 miliardi di dollari di commercio bilaterale con il Venezuela. (Per ragioni storiche e geografiche Colombia e Venezuela costituiscono una relazione commerciale bilaterale forte, ndr). Dovremo recuperare questo mercato, per il bene di entrambi i Paesi.
Quali soluzioni immagina per il Venezuela ?
Un intervento su due livelli: dobbiamo prevedere un Piano multilaterale e al tempo stesso, a livello regionale, un piano con i Paesi più interessati al commercio regionale per cercare di venire incontro alle necessità dei venezuelani.
Si è evocata l’ipotesi di un Piano Marshall? Che ne pensa?
A me sembra necessario. Ne abbiamo parlato nell’ultima riunione del Gruppo di Lima. L’idea potrebbe essere di riattivare i settori che sono stati duramente colpiti dalla dittatura e dal deterioramento in atto, sociale ed economico. Anche l’Italia può partecipare a ridisegnare la ricostruzione. La ricostruzione dovrà passare attraverso un aiuto concordato e condiviso.
Di che cifre stiamo parlando?
Se parliamo di una ricostruzione serve un appoggio articolato, con l’intervento del Fmi; per riattivare il settore delle infrastrutture, elettrico, petrolifero, dovrebbero entrare in campo anche il Bid (Banco interamericano di sviluppo), la Banca mondiale, la CAF. Non direi 100 miliardi di dollari, è una cifra troppo alta. Ma un piano di ricostruzione globale dovrà comunque essere superiore ai 40 miliardi di dollari. Il ruolo delle organizzazioni multilaterali è molto importante.
Intervento militare. Quasi ogni giorno c’è qualcuno che ne parla. Soprattutto da Washington. La sua opinione?
Non credo che la soluzione sia un intervento militare, credo che l’alleanza diplomatica abbia già sortito risultati significativi, come il riconoscimento dell’Assemblea nazionale del presidente
BOGOTÀ
‘‘ In meno di due anni abbiamo accolto oltre un milione di rifugiati, più della Germania
Guaidò. La comunità internazionale dovrà essere ancora più attiva nel persuadere e motivare alcuni membri dell’Esercito del Venezuela. Affinché i militari prendano la decisione di collocarsi dal lato giusto della storia, sostengano questa transizione istituzionale.
Lei è stato eletto nel giugno 2018, meno di un anno fa. Pareva che il suo obiettivo fosse quello di consolidare il processo di pace con le Farc. Invece si è trovato a fronteggiare una crisi di dimensioni mondiali. Cina e Russia sono potenze mondiali entrate nella partita venezuelana e si contrappongono agli Stati Uniti. Pechino e Russia sostengono il presidente Maduro, gli Stati Uniti il presidente autoproclamato Juan Guaidò. Non la preoccupa questa contrapposizione, questo scontro tra titani?
Credo che l’America Latina non si possa e non si debba convertire in un territorio di disputa politica. Per nessuno. Per questo abbiamo fatto molti progressi in termini di dialogo diplomatico. Non deve essere un terreno dove si misura il peso geopolitico. Ci vogliamo unire attorno a un obiettivo e a una causa comune che ci riporti nell’ambito della Carta costituzionale democratica definita dall’Osa (Organizzazione degli Stati americani). Parliamo di valori
‘‘ L’economia venezuelana ha bisogno di un Piano Marshall da almeno 40 miliardi di dollari
democratici. Vogliamo che il popolo venezuelano recuperi la sua libertà ed esca da una dittatura che ha distrutto il Paese. Vorremmo persuadere in termini diplomatici il maggior numero di Paesi, convincerli che questa sia una una causa giusta. Ho il massimo rispetto del governo della Cina e spero che ascoltino la nostra voce e quella di altri per capire bene ciò che realmente sta succedendo in Ve
nezuela. E contribuisca affinché vi sia
una transizione istituzionale in Venezuela. Nel caso della Russia, meno attiva nel contesto latinoamericano, speriamo possa modificare la sua postura politica affinché in Venezuela si riavvii un ordine istituzionale. In altre parole il recupero del Venezuela è nell’interesse di tutti ma sopratutto di coloro che hanno relazioni economiche e politiche più strette.
Juan Guaidò, il presidente autoproclamato, secondo molti osservatori, anche nordamericani, con il passare delle settimane perde inesorabilmente forza politica. E Nicolas Maduro può riguadagnare terreno. Che ne pensa?
Ciò che è accaduto è irreversibile. I Paesi che hanno riconosciuto Guaidò non cambieranno posizione. È un potere legittimo, il suo. Ogni giorno constatiamo una maggior debolezza della dittatura e ciò accelera il processo di trasformazione istituzionale e quello di recupero economico del Venezuela.
L’Unione europea può giocare un ruolo?
La Ue può e deve giocare un ruolo importante, fornire un disegno di ricostruzione del Paese. Ad esempio nella persuasione dell’Esercito venezuelano per facilitare il riequilibrio istituzionale.
Parliamo dell'Esercito. Sembrava che fossero molti i militari dissidenti, invece i numeri sembrano ridimensionati. È così?
Sono circa mille i membri della Forza pubblica venezuelana che hanno giurato fedeltà a Guaidò. È un messaggio importante. L’Esercito non è comunque responsabile delle violenze ai danni della popolazione che sono attribuibili ai gruppi armati e ai colectivos (milizie armate irregolari, ndr). Sono però certo del fatto che nell’Esercito vi sia una frattura e che la maggior parte dei militari si sintonizzi con Guaidò e con l’Assemblea nazionale.