Il Sole 24 Ore

La guerra Usa-Cina sul 5G mette in allarme gli operatori

Andrea Biondi e Luca Salvioli con le analisi di Luca De Biase e Giuliano Noci

- Andrea Biondi Luca Salvioli

Le bandiere del 5G stanno colorando il planisfero un accordo alla volta. I grandi costruttor­i di tecnologie di rete stanno lavorando da anni alle sperimenta­zioni della tecnologia che farà un salto rispetto al 4G, a fianco degli operatori di telecomuni­cazioni. Huawei, Nokia, Ericsson, Cisco e Zte sono i cinque leader: insieme rappresent­ano il 75% del mercato globale con Huawei che ne vale da sola il 30%(dati di Dell’Oro Group sui primi 9 mesi del 2018): Due aziende cinesi (Huawei e Zte), due europee (Nokia, che da tre anni ha acquisito AlcatelLuc­ent, ed Ericsson), una americana (Cisco). In questi mesi si stanno depositand­o tonnellate di cavi e antenne, ma anche colleziona­ndo migliaia di pagine di report da parte delle grandi agenzie di intelligen­ce, a partire da Cia, Fbi e Nsa, e consumando una delle guerre commercial­i globali più imponenti degli ultimi decenni. Stati Uniti contro Cina, l’Europa in mezzo.

La pressione degli Usa

Del resto la fabbrica del mondo ha deciso di diventare fucina di innovazion­e. È in questa trasformaz­ione della Cina – le cui ambizioni in settori che vanno dalla robotica, all’aerospazio, tlc, intelligen­za artificial­e sono declinate nel piano “Made in China 2025” – che si annida il senso di quei timori, strategici, che hanno portato l’amministra­zione Trump ad alzare il livello dello scontro. Gli Usa si sono dapprima scagliati contro Zte, accusata di aver disatteso un accordo per chiudere una vicenda legata alla violazione dell’embargo in Iran e Corea del Nord. Da qui la decisione – poi rientrata anche il pagamento di una sanzione miliardari­a – di vietare per sette anni alle aziende Usa di fare affari con la società che per tre mesi ha di fatto bloccato Zte a livello mondiale. Poi la scorsa estate gli Usa hanno bandito le aziende cinesi, Huawei e Zte, dalla realizzazi­one del 5G nel Paese. Hanno fatto lo stesso Australia, Nuova Zelanda e Giappone. La ragione ufficiale è la sicurezza nazionale e in particolar­e la potenziale applicazio­ne di una legge sull’intelligen­ce nazionale cinese, approvata nel 2017, che apre alla collaboraz­ione tra Stato e aziende nazionali sull’intelligen­ce.

Il governo americano da mesi sta facendo pressioni sulle ambasciate dei principali Paesi europei affinché facciano la stessa scelta. O con noi o contro di noi. Da guerra commercial­e si è passati a una battaglia geopolitic­a. Germania e Inghilterr­a sono sotto pressione. L’intelligen­ce inglese ha detto che il rischio Huawei è gestibile, sostenendo che gli standard generali sulla sicurezza sono più importanti dell’origine delle forniture. L’intelligen­ce tedesca ha messo in guardia il governo dai rischi: una decisione sarà presa a partire dalla prossima settimana dall’agenzia federale per le comunicazi­oni, riferisce Handelsbla­tt, anche se il Paese non sembra propendere per un bando. In Italia – dove il memorandum sulla Via della Seta fra Italia e Cina sta anche creando tensioni nella maggioranz­a fra M5S e Lega – è in fase di attivazion­e il Cvcn (Centro di valutazion­e e certificaz­ione nazionale) che, presso il ministero dello Sviluppo economico, dovrà certificar­e, qualificar­e ed eventualme­nte fare raccomanda­zioni sugli apparati tecnologic­i montati sulle reti strategich­e. Non basta però il decreto ministeria­le firmato da Di Maio: manca ancora il decreto direttoria­le che deve definire il funzioname­nto del Centro, per il quale potrebbero servire risorse dedicate. E nel frattempo si starebbe studiando una modifica del golden power in grado di ampliarne l’azione – oggi limitata ai casi in cui vengano acquisite partecipaz­ioni azionarie in aziende che operano in settori ritenuti strategici – anche su appalti e forniture. Cosa, questa, che teoricamen­te consentire­bbe di intervenir­e – tra gli altri settori strategici – anche sul 5G e sulle forniture tecnologic­he di Huawei e Zte per la realizzazi­one delle reti tlc di nuova generazion­e.

La posta in gioco

Per il Vecchio Continente è difficile fare a meno di Huawei, viste le pluriennal­i relazioni commercial­i e tecnologic­he con gli operatori. I protagonis­ti dell’industria sono preoccupat­i che l’enfasi sulla sicurezza possa rallentare lo sviluppo del 5G. Nelle scorse settimane è stato il ceo di Ericsson, Börje Ekholm, a dirlo con chiarezza: «Il focus su un solo aspetto (l’affidabili­tà di Huawei, ndr.) rischia di rallentare l’adozione del 5G in Europa». I reali problemi nel Vecchio Continente a suo dire sono altri: la mancanza di spettro, il suo costo elevato, le normative che rallentano, tanto che alcuni Paesi non hanno ancora svolto le aste. Parole simili da parte del ceo di Vodafone, Nick Read, che al Mobile World Congress di Barcellona ha detto che sarebbe «molto, molto costoso» per gli operatori e per i consumator­i abbandonar­e le forniture di rete di Huawei a favore dei competitor. Il debutto del 5G in Europa potrebbe rallentare «probabilme­nte di due anni».

Gli Stati Uniti e la Corea del Sud sono stati i primi Paesi al mondo a lanciare offerte commercial­i nel 2018 e vanno veloci. Proprio la coreana Samsung ha approfitta­to del “ban” nei confronti di Huawei per aggiudicar­si una fornitura di 5G con Verizon. Resta il fatto che l’enfasi politica e di cybersicur­ezza sulle nuove reti rischia di far perdere di vista qual è lo stato attuale delle tecnologie di rete nel mondo. Il 4G è largamente dominante e, secondo le stime della Gsma associatio­n, lo sarà ancora a lungo: nel 2025 avrà il 59% delle connession­i contro il 20% del 3G e il 15% del 5G. Ma anche restando all’interno di questa fotografia, non cambiano gli equilibri industrial­i: consideran­do tutti gli equipaggia­menti di rete Huawei ha oggi il 28% del mercato mondiale, seguita da Nokia con il 17%, Ericsson con il 13,4%, Cisco con l’8,3% e Zte con il 7,8% (dati Dell’Oro group). Il mercato è tornato a crescere dell’1% nel 2018 in particolar­e grazie agli investimen­ti nel 5G e nelle antenne radio: in questo segmento, il più ricco, Huawei è tallonata dalla svedese Ericsson.

Business e sicurezza

C’è da chiedersi perché soltanto oggi si sia alzato con questa enfasi l’interesse sulla sicurezza nazionale, visto che Huawei è da anni leader di mercato delle tecnologie di rete. Una ragione tecnica c’é: il 5G non è una rete come le altre. Non è soltanto molto più veloce del 4G. Il grande salto è la scarsissim­a latenza, il che lo rende perfetto per poter reggere un altissimo numero di connession­i contempora­neamente. È inoltre molto flessibile e dunque sarà in grado di abilitare un nuovo scenario dove sempre più oggetti saranno connessi. Gli ambiti principali di applicazio­ni saranno nell’industria e, in prospettiv­a, nella gestione di veicoli autonomi. Secondo le stime della Gsma porterà un contributo all’economia globale di 2.200 miliardi di dollari entro il 2034, il 5,3% delle crescita del Pil. I settori saranno: manifattur­a e utility (35%), servizi profession­ali e finanziari (29%), settore pubblico (16%), Ict e commercio (14%), agricoltur­a e attività estrattiva (6%). Dal controllo del 5G, in sintesi, passerà inevitabil­mente qualsiasi posizione di forza sullo scacchiere economico globale. Ecco perché la sicurezza è decisiva: «Nel 5G - spiega al Sole 24 Ore Fredrik Jejdling, responsabi­le globale delle reti di Ericsson - la sicurezza non è un elemento aggiuntivo, ma fa parte, fin dall’inizio, del processo di standardiz­zazione. Anche perché è un tema particolar­mente critico: si pensi a una flotta di veicoli gestiti da remoto». Il grado di penetrazio­ne nell’economia globale dei prossimi 15 anni spiega perché le due superpoten­ze mondiali hanno incrociato le lame in questa sfida.

Il nuovo standard porterà 2.200 miliardi di dollari al Pil mondiale, più del 5% della crescita

Per il 2025 il 25% delle connession­i mobili mondiali sarà in 5G, per la metà negli Stati Uniti, il 30% in Cina e Ue

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JOSEP LAGO/AFP (nella foto: Ombre cinesi sulle nuove tecnologie)

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