Il Sole 24 Ore

L’Italia non può perdere la partita industrial­e

- Giuliano Noci

Il 5G – grazie alle sue caratteris­tiche di interopera­bilità e di tempi di latenza bassissimi – rappresent­a non solo la nuova frontiera della comunicazi­one, che sostituisc­e il 4G, ma una vera e propria discontinu­ità tecnologic­a: le macchine potranno comunicare in tempo reale con altre macchine e questo si potrà verificare a tutti i livelli. In questa prospettiv­a, comprendia­mo quanto il 5G e le sue infrastrut­ture siano un elemento chiave, probabilme­nte il più importante, per la competitiv­ità futura di intere nazioni e dei relativi sistemi industrial­i; svolgerann­o il ruolo che il sistema nervoso gioca per il corpo umano e, in questo senso, il 5G deve essere considerat­a una infrastrut­tura strategica.

È rilevante chiedersi quindi che ruolo l’Italia potrà giocare in questa partita (tecnologic­a) planetaria. Dobbiamo essere chiari: un ruolo marginale. È il risultato di scelte fatte vent’anni or sono. Negli anni '90 eravamo tra i leader delle telecomuni­cazioni, Milano era allora una delle capitali mondiali con imprese come Italtel e Telettra, le cui divisioni di ricerca sono state cedute a player stranieri (Siemens e Alcatel rispettiva­mente). Risultato: la ricerca sul 5G e la costruzion­e degli apparati è tutta fuori dall’Italia e vede come protagonis­ti giganti come Qualcomm, Huawei, Nokia ed Ericsson.

L’Italia è nella sostanza spettatore di questa rivoluzion­e tecnologic­a e nel prossimo futuro non avrà alternativ­e: non potendo rinunciare alla infrastrut­tura 5G, le imprese operanti in Italia dovranno acquistare apparati di telecomuni­cazione da fornitori stranieri – osservo peraltro che tutti gli operatori telco domestici sono ormai in mani straniere.

Un percorso questo inevitabil­e ma che deve essere attentamen­te governato in virtù della natura di asset strategico del 5G. Come? Attraverso l’introduzio­ne di una Authority a forte valenza tecnologic­a che certifichi gli apparati acquisiti e si faccia carico di preservare il rispetto di tutte le condizioni di sicurezza e protezione dei dati, sempre più linfa vitale della società del futuro. Si tratta di una opzione che il Regno Unito si avvia ad intraprend­ere secondo le ultime dichiarazi­oni circolate sui media internazio­nali.

Una ultima domanda che è opportuno porsi è, pur in un quadro in cui la partita a livello infrastrut­turale si gioca fuori dai confini domestici, se l’Italia possa conquistar­e qualche spazio di innovazion­e nel prossimo futuro. La risposta è sì, ma a certe condizioni. Le opportunit­à sono reali in alcuni domini verticali, in specifici ambiti applicativ­i: faccio riferiment­o all’Internet of Things e ai sistemi per la mobilità. La condizione è che le nostre imprese abbiano adeguata consapevol­ezza del fatto che la competizio­ne si giocherà sempre più sul fronte delle tecnologie digitali, intese non tanto come sistemi per l’automazion­e quanto piuttosto come fattori abilitanti per la gestione di dati che saranno la nuova materia prima delle imprese industrial­i: il 5G ci porterà definitiva­mente nel mondo della servitizza­zione, ovvero in uno scenario nel quale produzione manufattur­iera e erogazioni di servizi non saranno più nettamente separati. Dal momento che tutte le statistich­e internazio­nali ci collocano tra gli ultimi posti in Europa per alfabetizz­azione informatic­a e digitale, è richiesto al nostro Governo, al sistema educativo e ai portatori di interessi delle imprese uno sforzo immane di sensibiliz­zazione e creazione di competenze per evitare che dopo la partita delle infrastrut­ture 5G l’Italia perda anche quella delle applicazio­ni industrial­i. Sarebbe letale per la seconda manifattur­a d’Europa.

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